20 aprile 2025
Aggiornato 05:30
Funzionerà davvero?

L'altra faccia dell'accordo-ricatto tra l'UE e il sultano Erdogan

Sull'accordo stretto tra Ankara e Bruxelles e volto a limitare i flussi di profughi verso l'Europa incombono ombre scure. Perché, nonostante i 3 miliardi di euro, non è detto che la Turchia vorrà e sarà in grado di fare il suo «dovere». E perché in ballo c'è un punto molto delicato: la sua entrata nell'Ue

ANKARA - E' ufficiale: siamo in affari con il sultano. Alla fine, dopo lunghe trattative, qualche giorno fa è giunto l'ok di Bruxelles all'accordo con Erdogan, un accordo che sancisce la responsabilità di Ankara nell'accogliere i profughi che giungono nel Paese. Detto in altre parole, la Turchia si impegna solennemente a non lasciar passare in Europa l'ondata di migranti che sbarcano sul suo territorio. E lo farà non tanto perché le convenzioni internazionali la obbligano a concedere asilo, ma perché dall'Ue avrà un cospicuo «aiutino». Un aiutino da 3 miliardi di euro.

Ankara rispetterà i patti?
Rispetto all'accordo originario, qualche cifra è cambiata. L'Ue, ad esempio, contribuirà per un miliardo e non più per 500 milioni, mentre agli Stati membri rimangono «solo» due miliardi. Ridimensionata anche la quota italiana, che passa da 281 milioni a 225 milioni: resta comunque la quarta più alta, dopo Germania, Gran Bretagna e Francia. Due precisazioni sono doverose: primo, questi soldi non saranno conteggiati nel deficit degli Stati; secondo, andranno a fornitura di cibo, servizi sanitari ed educativi nei campi profughi. Ci si chiede, però, quanto davvero questo «patto» possa funzionare. Non a caso, solo un paio di giorni fa l'Unione europea si premurava di ricordare al partner turco il dovere di accogliere: «Al collega turco - spiegava il ministro degli esteri dell'Ue Federica Mogherini  - abbiamo ricordato che c'è prima di tutto un dovere morale e legale di accogliere coloro che hanno diritto alla protezione internazionale». Una dichiarazione che, con buona pace della Mogherini, mette già in luce quanto il terreno su cui poggia l'attuale accordo sia franoso: perché quel dovere «morale e legale» di accogliere - che peraltro ha anche l'Europa - Erdogan ce lo aveva anche prima dei 3 miliardi di euro. Siamo sicuri che quella somma basterà a garantire la collaborazione della Turchia? In effetti, la risposta del sultano lascia qualche dubbio in proposito: la Turchia - ha dichiarato - aprirà le frontiere ai profughi siriani in fuga dai combattimenti nella zona di Aleppo, ma solo se «non c'è altra scelta». Una riserva, dunque, che sa quasi di minaccia.

Quanti profughi accoglie la Turchia?
In effetti, non vi è alcuna certezza che, pur a fronte dell'impegno finanziario dell'Ue, l'accordo avrà gli effetti sperati. Perché la Turchia, che pure - è vero - è stata una delle porte d'ingresso verso la Grecia più frequentate dai migranti, è anche il Paese che accoglie il più alto numero di rifugiati di qualsiasi provenienza, e in particolar modo siriani: solo nel 2014, ha dato asilo a ben 1 milione 600 mila profughi siriani, circa il 47% del totale. Insomma: non si può dire che la Turchia, rispetto all'Europa, non faccia abbastanza sul fronte dell'accoglienza. Un'accoglienza spesso ambivalente, visto la denuncia di alcune ong a proposito di episodi di scarso rispetto dei diritti umani (questione che pare interessare poco Bruxelles). Ad ogni modo, le cifre parlano chiaro, e danno ad Ankara (e non all'Europa come ci si aspetterebbe) la palma della maggiore generosità nell'aprire le porte: un dato che fa riflettere, soprattutto se si considera che l'Europa ha una popolazione di 500 milioni di persone, la Turchia di 70 milioni.

Quanti potrà (e vorrà) ancora accoglierne?
Quanti nuovi profughi, insomma, potrà davvero accogliere Ankara? Ma soprattutto: siamo sicuri che questi rifugiati vogliano rimanere nel Paese mediorientale? Un aspetto che nessuno mai considera, ma che non è di poca importanza. Perché molti di quelli che scappano dalla Siria sono curdi, e la tensione, ultimamente divenuta vera e propria violenza, tra forze curde e governative in Turchia è su tutti i giornali. Oltre a queste tensioni interne, vi è anche la frizione tra autorità turche e forze curdo-sirane al di là del confine. L'approccio turco si è fatto molto più rigido nel limitare ingressi e uscite nei campi profughi abitati in prevalenza da curdi dopo un attentato suicida nel sud della Turchia. Senza contare che Ankara tende a non concedere permessi permanenti ma solo temporanei, nella speranza che, alla fine del conflitto, i siriani possano lasciare la Turchia e fare ritorno nel proprio Paese.

Turchia nell'Ue?
C'è infine un ulteriore aspetto da considerare: ed è questa, forse l'«altra faccia» dell'accordo più pregna di conseguenze. Perché di pari passo con tali trattative, negli ultimi mesi, si è riaperto il dibattito sull'entrata della Turchia nell'Unione europea. E l'apertura dimostrata da Bruxelles non è motivata dai progressi di Ankara in materia di democrazia e libertà individuali (anzi), ma dalla sua importanza strategica nel contenere i flussi migratori. E non importa se i negoziati durano ormai da 10 anni, hanno subito numerose battute d'arresto e  registrato i veti di Francia, Cipro e la perplessità della Germania: oggi, pur di assicurarsi la collaborazione di Ankara nel regolamentare, se non addirittura nel bloccare, i flussi migratori, l’Ue si è impegnata ad avviare la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi nell’area Schengen a partire dalla metà del 2016 e a riaprire i negoziati di adesione. Come segno di buona volontà, il primo passo è stato compiuto a metà dicembre con l’apertura del capitolo su politica economica e monetaria. E' sotto gli occhi di tutti come un «ricatto» non possa costituire la situazione più favorevole per prendere in considerazione una questione tanto importante. Perché avere un leader ambiguo quanto Erdogan nella già instabile Europa potrebbe scombussolarne ulteriormente gli equilibri. E, al di là di ciò, è assolutamente evidente come questo avvicinamento tra Bruxelles e Ankara non corra sui binari più stabili.