29 marzo 2024
Aggiornato 07:30
L'orgoglio patriottico è l'arma segreta del presidente

Ecco perché i russi continuano ad amare Putin, nonostante la crisi

E' innegabile: le difficoltà economiche, per Mosca, ci sono. Ma Vladimir Putin sembra molto lontano dal fare la fine di molti leader europei, colpiti durante la crisi da un evidente calo di consenso. Ecco perché la sua popolarità non sembra franare insieme al rublo e al prezzo del petrolio

MOSCA – Sarà un caso, ma le iniziali di Vladimir Vladimirovič Putin, VVP, corrispondono all’acronimo di quello che in russo è il PIL. Un pensiero, quest'ultimo, che deve angosciare non poco il capo del Cremlino, visti il crollo del rublo e del prezzo del petrolio e le conseguenze delle sanzioni occidentali. I dati economici non sono dei migliori, ma Putin non molla: «La combinazione del deficit di bilancio, inferiore al previsto, buone riserve, basso debito, crea le condizioni favorevoli, che permettono di aspettarsi una situazione economica in miglioramento quest'anno», ha rassicurato lo «zar». Che però, contemporaneamente, non ha esitato a correre ai ripari: in primis, considerando l’ipotesi di praticare imponenti privatizzazioni.

Un idillio che resiste nella tempesta
Nonostante la crisi, l’amore incondizionato del popolo russo nei confronti del suo leader non sembra risentirne. E’ vero, la popolarità di Putin ha visto negli ultimi tempi una lieve flessione, ma nulla che sia comparabile con i cali di approvazione subiti dai leader europei nei tempi più bui della crisi economica. L’idillio rimane, insomma, indipendentemente dalle sorti del rublo o dell’economia. E non sembra traballare nemmeno quando il Presidente ammette che bisogna «prepararsi a qualsiasi scenario», anche il più fosco. Contemporaneamente, però, la studiatissima retorica dello zar batte sui valori, sulla patria, sulla famiglia e sull’orgoglio: tutte questioni che, agli occhi dei russi, non hanno prezzo. E che, anzi, proprio nella tempesta possono dare la forza di andare avanti.

Il contrappeso della crisi
È stato proprio l’orgoglio il contrappeso della crisi. Un sentimento già fondamentale per lo spirito russo, e che la svolta patriottica degli ultimi anni non ha fatto che rintuzzare.  Eppure, il ritorno di Putin alla presidenza nel 2012 era stato accompagnato da proteste senza precedenti. Gli auspici non erano dei migliori, ma lo zar è riuscito ad assemblare efficacemente il suo manifesto programmatico, e conquistare grazie ad esso il cuore del popolo. Che non lo ha abbandonato nemmeno nei momenti più critici. Tutt’altro: la sua percentuale di approvazione è cresciuta man mano le sfide diventavano più grandi: oltre l’80% con la guerra in Georgia, addirittura il 90% con l’annessione della Crimea. E non si può dire che dalla crisi ucraina la Russia esca vincitrice: è vero, Putin è riuscito abilmente a «congelarla», ma le sanzioni occidentali pesano sulla economia, e quel fazzoletto di terra riconquistato non è nulla, se comparato alla perdita di un intero «Paese satellite», anche considerando che la Crimea ha un'economia praticamente inesistente e impone alla Russia l’enigma della sua fornitura energetica. Eppure, anche nella crisi ucraina ciò a cui Putin – e i russi tutti – sembrano aver dato la priorità è l’orgoglio nazionale: la ripresa della Crimea vale per Mosca molto più di tutte le sue nefaste conseguenze. E l’intervento in Siria, che ha riportato la Russia al tavolo dei grandi sotto gli occhi miopi e baldanzosi dell’Occidente, ha fatto il resto.

Questione di orgoglio
Questo non significa che l’infausta situazione economica non preoccupi il Cremlino. Dopo i 63 miliardi di dollari in uscita nel 2013, nell’anno della crisi ucraina banche e società russe hanno portato all’estero 151,5 miliardi di dollari. Nel 2015 la fuoriuscita dei capitali era pari a 52,5 miliardi a giugno: ed è un gatto che si morde la coda, perché l’esodo ha concorso a far crollare il rublo. Le sanzioni, in particolare, hanno incentivato la fuga di chi temeva di finire nelle black list Ue e Usa. Putin non è cieco: sa che, parafrasando una boutade diventata famosa in Italia, con l«orgoglio nazionale non si mangia». Non a caso, in occasione della conferenza stampa di fine 2015 ha sfoderato toni rassicuranti, facendo contemporaneamente appello al proverbiale spirito di sacrificio dei russi. E non è nemmeno un caso che il Cremlino abbia oculatamente evitato di reprimere la rivolta dei camionisti, in protesta per la tassa sul transito dei mezzi pesanti. Ma se la storia insegna qualcosa, Putin sa che è proprio nei momenti più difficili che lo spirito russo è più saldo. Soprattutto se c’è in gioco l’orgoglio nazionale.