25 aprile 2024
Aggiornato 02:30
Al Valdai Club opinioni divergenti sull'ultima mossa del Cremlino

Sfida a Obama o negoziati? L'incontro Putin-Assad divide gli analisti

Solo un punto mette più o meno tutti d'accordo: c'è un forte valore «simbolico» e, soprattutto, Putin é determinato a «essere il regista» della crisi siriana, come sottolinea il politologo russo Aleksey Mukhin.

SOCHI - L'incontro a Mosca tra Vladimir Putin e il presidente siriano Bashar al Assad «è il primo passo verso una soluzione politica» del conflitto in Siria, anzi, no, «è stato organizzato solo per colpire, umiliare Obama». Diverse, anche in netta opposizione le valutazioni di analisti ed esperti dell'ultima mossa del Cremlino nella complicata partita siriana. A Sochi, dove il meeting annuale del Valdai club attende l'incontro con il presidente russo, in agenda domani, la notizia del faccia a faccia a sorpresa tra il capo dello Stato e il collega siriano trova divergenti letture e sfocia a tratti in un battibecco dai toni accesi tra russi e i colleghi internazionali. Solo un punto mette più o meno tutti d'accordo: c'è un forte valore «simbolico» e, soprattutto, Putin é determinato a «essere il regista» della crisi siriana, come sottolinea il politologo russo Aleksey Mukhin. Ruolo a cui può aspirare solo se si andrà velocemente verso una soluzione politica, magari verso un accordo per una confederazione tra zone attualmente controllate da Assad, dai curdi e dalle milizie sunnite moderate.

«Simbolico, sì, ma in fine dei conti un incontro tra due leader isolati sul piano internazionale», quindi fine a sé stesso l'incontro di ieri sera secondo Nikolay Zlobin, capo del Centro Interessi Globali con sede a Washington, che al forum di dibattito Valdai è noto per le domande pungenti con cui affronta il presidente russo. «Putin e Assad non possono davvero cambiare la dinamica di fondo della crisi. Se ci fossero stati altri leader, ma così, davvero, non vedo grandi conseguenze». Piuttosto, secondo Zlobin, «un modo per tirare un rovescio a Barack Obama. Quando può farlo, Putin non si lascia certo sfuggire l'occasione».

Al vertice russo-siriano hanno partecipato il ministro degli Esteri Sergey Lavrov e della Difesa Sergey Shoigu, riferiscono fonti diplomatiche ad askanews. Il Cremlino ha fatto filtrare solo che i due hanno discusso delle operazioni militari in corso e che lo stesso Assad avrebbe evidenziato la necessità di "affiancare una soluzione politica" Putin all'uso delle armi. Che ci fosse Shoigu, diretto esecutore dell'intervento russo in Siria, è «già di per sé significativo», fa notare Mukhin, direttore del Centro per l'Informazione Politica, giovane osservatore molto ascoltato a Mosca. «L'Europa sta cambiando posizione su Assad, perlomeno da più parti si realizza che per arrivare alla fine del conflitto siriano non basta chiede l'uscita di scena di Assad. Non basta distruggere, bisogna costruire qualcosa e la Russia intende porsi a garante di un nuovo sistema».

Nel confronto con Assad c'è tutto «il dilemma di Putin» in questa fase, sostiene da parte sua l'osservatore tedesco Michael Stuermer, ex consigliere di Helmut Kohl. «La Russia vuole a tutti i costi mantenere la propria base militare a Tartus, nell'area che ancora è sotto il controllo del regime siriano. Ma Assad da solo oggi non ha speranza alcuna di prevalere e per Putin il vero rischio è che si crei una situazione tipo Afghanistan, uno stallo, la palude che il Cremlino non può permettersi. Quindi, a un certo punto, Putin mollerà Assad, se necessario lo getterà via come un fazzoletto sporco».

Un ragionamento che non trova per niente d'accordo Dmitri Suslov, esperto di relazioni internazionali dell'Alta Scuola di Economia di Mosca. «Invitare Assad a Mosca significa voler mostrare un segno di totale appoggio da parte russa, dire all'Occidente e al mondo che Mosca non sta pensando a un cambio di regime, almeno non in un futuro prossimo». Per Suslov c'è un altro aspetto poco considerato e invece estremamente importante: il giorno prima dell'incontro tra Putin e Assad al ministero degli Esteri a Mosca è stato ricevuto Ahmed al Jarba, uno dei leader dell'opposizione siriana. «Il timing parla da sé, significa che la Russia vuole una soluzione politica, é questo il ragionamento che ha portato all'intervento militare russo, così sgradito agli Usa. L'alternativa ora è il fallimento, il ritiro, o una campagna lunga, con costi insostenibili per la Russia. Quanto al tipo di soluzione, a Mosca tra gli osservatori c'è la forte convinzione che questa possa essere la creazione di una sorta di confederazione».

Ma quale totale sostegno ad Assad, rilancia Zlobin, «Per Putin oggi Assad é Yanukovich in salsa siriana», l'equivalente mediorientale dell'ex presidente ucraino costretto a fuggire dal suo Paese, «Assad é debole e Putin non ama i deboli. Direi che piuttosto un po' lo disprezza».

Debole, ma ancora in gioco - secondo Aleksey Miller dell'Università europea di San Pietroburgo, quindi «da Putin per decidere come e quando uscire di scena. Ma si metteranno d'accordo tra di loro, non sono richiesti altri pareri" e la trasferta moscovita di Assad lo conferma».

Insomma, russi da una parte, occidentali dall'altra. Nel mezzo, una voce dal Paese che sulla questione siriana è più che mai sospeso tra richieste occidentali e proiezione mediorientale, la Turchia. Non corriamo troppo, consiglia Huseyin Bagci, professore di Relazioni internazionali dell'Università del Medio Oriente di Ankara: «questo incontro significa che Assad è ufficialmente sotto la protezione economica, militare e politica di Putin. E che la Russia è in Medio Oriente, piaccia o meno». Poi non c'è nulla di definitivo, non ancora. «La questione siriana é come un treno, oggi c'è una locomotiva e dietro tanti vagoni - sostiene l'accademico e politologo turco - una geometria variabile. Ad esempio la politica turca sulla Siria sta leggermente cambiando. Ma per ora Ankara sta in fondo al convoglio».

(con fonte Askanews)