5 maggio 2024
Aggiornato 10:30
Come a lungo ha fatto l'Italia, rimanendo inascoltata

Migranti, ora anche Londra, Parigi e Berlino chiedono aiuto all’Europa. Chi ci salverà?

A lungo l'Italia ha chiesto aiuto all'Europa, rimanendo inascoltata, per affrontare la crisi migratoria. Oggi che il problema sta diventando sempre più comune, si appellano all'Europa anche Berlino, Londra, Parigi. Ma chi è questa «Europa» che dovrebbe salvarci?

BRUXELLES – L’Europa ha un difetto particolarmente grave: la memoria corta. La crisi migratoria in corso evidenzia senza pietà quanto sia preoccupante il livello di amnesia di cui il Vecchio Continente soffre.  A noi italiani, però, un po’ di memoria è rimasta: ci ricordiamo bene quando, dopo la strage di Lampedusa, cercavamo di far capire che il sangue che tingeva il Mediterraneo non era soltanto un problema del Belpaese. Quegli appelli sono rimasti a lungo inascoltati, al punto che Mare Nostrum, fiore all’occhiello della nostra Marina militare, è pesata completamente sulle spalle dell’Italia. E anche se, da qualche mese a questa parte, l’Europa intera ha cominciato a interrogarsi sulla questione, siamo ancora lontani dalla soluzione. Ci sono volute migliaia di vite spezzate per convincere altri Paesi a partecipare all’operazione Triton. Ma la tentazione dello «scaricabarile» è sempre in agguato: l’idea delle quote obbligatorie di accoglienza ha subito fatto partire il valzer delle proteste e dei passi indietro. Perché, non c’è dubbio, era più comodo quando ci si appellava soltanto al regolamento di Dublino, che obbliga i Paesi d’arrivo – spesso Italia e Grecia – a vedersela da sé.

L’illuminazione di Londra e Parigi
Oggi, però, sembra che un’illuminazione improvvisa abbia colpito anche coloro che per anni hanno chiuso gli occhi di fronte al problema: in primis Londra e Parigi. Che cosa ha causato un così radicale cambiamento? Semplice: il progressivo sgretolarsi del sistema Dublino ha cominciato a far tremare anche i Paesi meno interessati dalle traversate mediterranee. Il caos che ha sconvolto Calais, punto di arrivo dei migranti in fuga dall’Italia e diretti dalla Francia in Gran Bretagna, non solo ha portato questi ultimi due Paesi ad accusare il nostro di non rispettare le «regole», ma soprattutto ha instillato in loro la paura di essere lasciati soli dall’Europa a gestire l’«emergenza».

L’ammissione (interessata) della Merkel
Persino la Cancelliera Angela Merkel, che dell’Europa può dirsi – per altri aspetti – la massima rappresentante, ha ammesso senza giri di parole, in visita all’Expo, che l’immigrazione è un problema di tutta l’Unione. Notizia dell’ultima ora, un vertice previsto per lunedì con Francois Hollande, per mettere a punto un «piano» definitivo di gestione della crisi. Il tentativo – pare – sarà quello di rompere il fronte del «no» al sistema di quote obbligatorie eretto dai Paesi dell’Est. Non sarà un caso, però, che le parole della Merkel siano giunte proprio ora che si parla di ben 800.000 richieste d’asilo alla Germania previste per il 2015. Per completezza di informazione, Berlino è spesso stata vicino al podio come numero di migranti accolti; ma dopo il naufragio di Lampedusa, quando l’Italia chiedeva aiuto, anche dalle terre teutoniche fu opposto un assordante silenzio.

Ma chi è l’«Europa», se non noi?
Problema risolto, dunque? Non proprio. Perché ora che buona parte dell’Europa si è convinta che quella migratoria sia una questione di competenza, appunto, europea, manca forse ancora di focalizzare il punto fondamentale. Quando Parigi, Londra, Berlino, Roma si appellano a Bruxelles, si appellano, in ultima istanza, a se stesse. Chi è quell’«Europa» deputata a risolvere la crisi? Quell’Europa siamo noi. Siamo noi francesi, inglesi, tedeschi, italiani, greci. Nessun salvatore scenderà dal cielo a «toglierci» il «peso» dei migranti. E’ finito il tempo delle deleghe e degli scaricabarili. Ora, se vogliamo dare una risposta definitiva a una «crisi» che sta diventando sempre più la «normalità», dobbiamo impegnarci tutti, nessuno escluso. E non c’è sistema di Dublino che tenga.