6 giugno 2023
Aggiornato 17:30
Soluzione dei due Stati la più vantaggiosa economicamente

Ecco perché uno Stato di Palestina sarebbe (anche per Israele) una miniera d’oro

La crisi mediorientale non accenna a placarsi, così come l'espansionismo israeliano. Eppure, di tutte le soluzioni possibili al conflitto, la più redditizia, anche per Israele, sarebbe quella da cui Netanyahu rifugge con più tenacia...

WASHINGTON – Tra le vittime del conflitto mediorientale, l’economia della regione. Nonostante i miliardi di dollari investiti da un lato e dall’altro, la crisi dura da decenni e la pace sembra ancora lontana. Ma secondo uno studio appena pubblicato della Rand Corporation, è possibile stimare costi e benefici di cinque possibili esiti della questione – la soluzione dei due Stati, il ritiro coordinato unilaterale, il ritiro non coordinato unilaterale, la resistenza non violenta e quella violenta –. E il risultato non lascia dubbi: la creazione di uno Stato Palestinese inietterebbe nell’economia della regione 173 miliardi di dollari in dieci anni.

Pace redditizia
Per i ricercatori, infatti, la soluzione dei due Stati, con una Palestina sovrana in pace con Israele, basata sugli accordi del 1967 e con uno scambio di territori per includere la maggior parte degli insediamenti ebraici, sarebbe finanziariamente vantaggiosa per entrambe le parti. Dopo dieci anni dall’attuazione della soluzione, il Pil di Israele crescerebbe tre volte di più di quello della Palestina, arrivando a quota 123 miliardi rispetto ai 50 miliardi del vicino. Ma la crescita percentuale della Palestina sarebbe del 36%, contro il 5% dei vicini israeliani.

La Palestina conviene
La soluzione pacifica favorirebbe per Israele gli investimenti diretti, e triplicherebbe le opportunità di commercio nel mondo arabo. D’altronde, tale soluzione avrebbe anche dei costi, soprattutto legati alla necessità di ricollocare 100.000 coloni dalla West Bank. Eppure, per i ricercatori, la somma sarebbe in parte sborsata dalla comunità internazionale come clausola di un accordo di pace, e ampiamente ripagata dai vantaggi della soluzione dei due Stati.

Altre soluzioni poco vantaggiose
Al contrario, i costi di un ritiro unilaterale sarebbero alti per Israele, nonostante il sostegno della comunità internazionale. Anche la resistenza non violenta avrebbe conseguenze economiche negative: minori investimenti e turisti, con una perdita stimata di 80 miliardi in dieci anni. Per i Palestinesi, i costi sarebbero di 12 miliardi nello stesso periodo. Ma lo scenario peggiore sarebbe la ripresa esplicita delle ostilità: il che implicherebbe una perdita di occasioni economiche per Israele pari a 250 miliardi in 10 anni, e di 46 miliardi, per la Palestina. Il Pil crollerebbe del 46% nella West Bank e a Gaza, mentre in Israele del 10% entro il 2024.

I costi della guerra
Un quadro confermato dal report del centro studi Acmos risalente al luglio 2014, secondo cui, a tre settimane dallo scoppio dell’ennesimo conflitto sulla striscia di Gaza, i costi per Israele già superavano i 3 miliardi di dollari. Alle spese belliche si aggiungano quelle legate ai piani di emergenza per la messa in sicurezza della popolazione nelle regioni meridionali del Paese, le più bersagliate di Hamas. Ma le perdite più gravi riguardavano proprio il Pil: in sole tre settimane i consumi si sono praticamente dimezzati nel Sud del Paese, nella zona di Tel Aviv si sono ridotte di un terzo. Male i trasporti pubblici (-20%) e malissimo il turismo, considerato che circa il 40% del fatturato del settore si concentra proprio nella stagione estiva, periodo in cui è avvenuta la ripresa delle ostilità: nei mesi precedenti, peraltro, l’industria del turismo vantava un record, avendo sfiorato il 17%. Cifre che non lasciano dubbi: la convivenza pacifica conviene, e non solo dal punto di vista umanitario.