20 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Donetsk sempre più vicino alla Russia

Crisi Ucraina, Alto Adige un modello sulla via della pace?

Le tensioni sono ancora forti, e la pace lontana. Ma l'esempio autonomista dell'Alto Adige, proposto poco tempo fa da Matteo Renzi a Vladimir Putin come modello a cui ispirarsi, potrebbe davvero costituire il «lieto fine» di cui l'Ucraina ha disperato bisogno?

KIEV – E’ tra le crisi internazionali più preoccupanti, all’origine della nuova «guerra fredda»  che sempre più divarica Mosca dall’Occidente, e ancora mancano i segnali che il caos ucraino possa trovare presto un epilogo pacifico. Pochi giorni fa, Vladimir Putin ha firmato un decreto che rende le perdite di soldati russi impegnati in particolari operazioni in tempo di pace un segreto di Stato. Un provvedimento che ha rafforzato i sospetti occidentali in merito a una presenza di truppe russe in Ucraina: come si vede, il lieto fine sembra ancora distante anni luce.

Alto Adige modello di una soluzione?
Eppure, volendo concentrarsi sulle possibili soluzioni, piuttosto che sui maestosi ostacoli ancora da superare, la crisi ucraina potrebbe trovare il suo epilogo pacifico prendendo esempio da un’esperienza avvenuta nel cuore dell’Europa: quella dell’Alto Adige. In principio fu Matteo Renzi, in occasione del suo incontro con il capo del Cremlino lo scorso marzo, a suggerire il modello altoatesino come background a cui ispirarsi per favorire la pace nel tormentato Donetsk, che sempre meno si fida di Kiev, e sempre più pensa all’indipendenza e all’annessione alla Russia. I contesti storici e geopolitici sono completamente diversi; eppure, ci si chiede se un modello di larga autonomia amministrativa potrebbe effettivamente attecchire.

L’autonomia non vale quanto l’indipendenza
Un modello che concederebbe al territorio autonomo – come nel caso altoatesino – di trattenere circa il 90% delle imposte: il che non sarebbe un vantaggio di poco conto, sottolinea la rivista di geopolitica Limes, visto che si parla della regione più ricca e produttiva del Paese. Un quadro che farebbe comodo certamente a Putin, che avrebbe un’Ucraina sostanzialmente amica, cuscinetto verso l’Occidente, indebolita dall’assetto fortemente federalista. Ma anche l’Italia ne sarebbe favorita, visto che la crisi innescata da Maidan ha portato allo stop del progetto South Stream e a un forte indebolimento delle relazioni commerciali con Mosca. Eppure, quando tale proposta è stata illustrata dall’ex presidente della provincia di Bolzano Durnwalder, in occasione di un Forum internazionale sul futuro della regione, è subito stato evidente che i dirigenti locali non ne fossero persuasi. Le ragioni sono presto dette: dopo un anno di combattimenti, morti e distruzione, con un blocco economico che separa il Donetsk dal resto del mondo, accontentarsi di un’autonomia e rinunciare ai sogni indipendentisti suona quasi una sconfitta.

L’epilogo è ancora lontano
In ogni caso, sembra ancora drammaticamente presto per parlare di soluzione. Lo dimostrerebbe anche la nuova strategia retorica che, secondo The Economist, Mosca starebbe utilizzando da qualche settimana a questa parte: l’Ucraina non è più dipinta, cioè, come «Stato neo-nazista, i cui soldati hanno bruciato villaggi e crocifisso bambini nella sua parte Est». Ora, è rappresentata più come uno Stato fallito, in default, al punto che i suoi sostenitori occidentali sarebbero pronti ad ammettere i propri errori e fare ammenda presso il leader del Cremlino. Una retorica che testimonierebbe quanto le parti in causa non siano disponibili a un compromesso, e come la crisi sia entrata in una nuova, preoccupante fase: una fase in cui l’implicazione della Russa, diretta – con le sue truppe – o indiretta – attraverso quella che l’Occidente considera una manipolazione della realtà –, sarebbe sempre più evidente. E motivo (o pretesto?) all’Occidente stesso per proseguire sulla strada del gelo.