19 aprile 2024
Aggiornato 19:00
La rivolta siriaina

La Clinton «preme» ma Ankara dice «no ad un intervento straniero in Siria»

Lo ha affermato il Ministro degli Esteri turco Davutoglu. Clinton: «Turchia e Arabia Saudita scendano in campo»

ANKARA - La Turchia è contro un intervento straniero in Siria. Lo ha dichiarato il ministro degli Esteri di Ankara, Ahmet Davutoglu, che di recente ha energicamente denunciato la prosecuzione della repressione in questo Paese.
«Non vogliamo un intervento straniero in Siria», ha dichiarato alla stampa Davutoglu. «Noi non accettiamo operazioni contro civili durante il mese del Ramadan. Adottiamo tutte le misure per evitarlo», ha aggiunto il capo della diplomazia turca, senza precisare maggiormente il suo pensiero.
Durante una visita martedì scorso a Damasco, il ministro turco ha esortato il presidente siriano Bashar al Assad a metter fine alla repressione contro la popolazione civile e aprire la strada a riforme politiche. Ieri Davutoglu ha vivamente denunciato la prosecuzione della repressione in Siria, invitando il presidente siriano a «porre immediatamente fine alle operazioni» militari che hanno per obiettivo i civili.
«Lanceremo tutte le forme di avvertimento alla Siria perché le rivendicazioni del popolo siriano siano soddisfatte», ha dichiarato Davutoglu, sottolineando di aver affrontato la questione siriana con il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, in un colloquio telefonica odierno. Il ministro della Difesa turco, Ismet Yilmaz, ha garantito che la Turchia non ha intenzione di creare una zona tappo sulla sua frontiera con la Turchia, come hanno affermato i mass media del Paese. «Non vogliamo creare una nuova frontiera con mine o una zona tampone», ha dichiarato il ministro della Difesa a Sivas, citato dall'agenzia turca Anatolia.
Mass media hanno sostenuto recentemente che la Turchia prevedeva di creare una zona cuscinetto alla frontiera tra Siria e Turchia per impedire un afflusso di profughi in provenienza dalla Siria. La Turchia ospita attualmente circa 7.000 profughi siriani in campi nella provincia meridionale di Hatay.

L'appello della Clinton a Turchia e Arabia Saudita - Una richiesta di dimissioni del presidente siriano Bashar al Assad da parte di Tuchia, Arabia Saudita e altri paesi sarebbe molto più efficiente di una richiesta unilaterale da parte degli Stati Uniti. Ne è convinto il segretario di Stato americano Hillary Clinton che, in un'intervista a Cnn a cui ha partecipato anche il segretario alla difesa Leon Panetta, ha detto che: «Se la Turchia, il re Abdullah dell'Arabia Saudita e altri chiedessero le dimissioni, in regime di Assad non potrebbe in alcun modo ignorare la richiesta».
Alcuni funzionari del governo americano avevano detto settimana scorsa che gli Stati Uniti stavano avanzando nella preparazione di una richiesta esplicita di dimissioni rivolta al presidente siriano, ma, secondo Clinton, Washington non è pronta per muoversi in questa direzione.
Davanti al pubblico della National Defense University, l'università fondata dal dipartimento della Difesa americano, Clinton ha ribadito che «il fatto che gli Stati Uniti chiedano ad Assad di andarsene non sarebbe una novità». Il segretario di Stato americano ha inoltre spiegato che l'approccio nei confronti della Siria vuole essere di «potere intelligente» come alternativa all'uso della forza e alle prese di posizione unilaterali. Per questo gli Stati Uniti stanno cercando l'appoggio di altre nazioni, in particolar modo di quelle medio-orienatali per fare pressione su Assad. «Siamo alla guida, ma una parte del ruolo del leader è quella di assicurarsi che altri paesi scendano in campo», ha detto Clinton.
Secondo le organizzazioni umanitarie da quando a marzo sono scoppiate le proteste in Siria contro il governo di Assad almeno 2.000 persone sono rimaste uccise negli scontri.

Continua il bombardamento di Latakia, almeno 30 vittime - Spari di mitragliatrice pesante sono stati uditi ancora stamattina a Latakia, città portuale nel nord est della Siria, dove da sabato è in corso una massiccia offensiva contro gli oppositori del presidente Bashar al Assad.
Lo hanno reso noto in un comunicato gli attivisti dell'Osservatorio siriano dei diritti dell'Uomo (Osdha).
«Spari di mitragliatrice pesante sono stati uditi in quartieri di Latakia, Ramel al Junubi, Masbah al-Shaab e Ain Tamra, per più di tre ore» tra le 4 e le 7.30 (ora italiana), ha precisato l'Ong. Dall'inizio dell'offensiva, lanciata dopo che venerdì si era svolta in città una nuova manifestazione di massa contro il regime del presidente Bashar al Assad, sono morti una trentina di civili.
Secondo l'Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa), più della metà dei 10.000 rifugiati palestinesi del campo di Ramel, a Latakia, sono fuggiti a seguito dei bombardamenti delle forze di sicurezza siriane. L'Unrwa ha chiesto di poter accedere immediatamente nel campo.
Nell'offensiva di Latakia le forze siriane hanno sparato anche con le navi da guerra contro gli oppositori del regime, per la prima volta dallo scorso marzo, quando è cominciata la ribellione contro Damasco.

Hague: Assad sta perdendo ultimi brandelli sua legittimità - Il presidente siriano, Bashar al-Assad, sta perdendo «gli ultimi brandelli della sua legittimità», secondo il ministro degli Esteri britannico, William Hague, dopo l'escalation di violenza contro gli oppositori.
«E' venuto il momento per il presidente Assad di agire» in risposta agli appelli della comunità internazionale per mettere fine alle violenze, ha rilevato Hague in un comunicato, aggiungendo che il capo di Stato siriano «sta rapidamente perdendo gli ultimi brandelli della sua legittimità» e deve «fermare immediatamente» la repressione.