29 marzo 2024
Aggiornato 09:30
Dai sub prime alla deflazione, passando per lo spread e la guerra

Il «secolo perduto» iniziava dieci anni fa. La grande crisi è divenuta normalità

Le prime fessure nel sistema giungono nel febbraio del 2007, mentre l'Italia discute sulla condanna della Franzoni e un giovane candidato di colore tenta la scalata alla Casa Bianca. Nessuno capì cosa stava per accadere. E nessuno sa ancora come uscirne

ROMA - Si manifestò in punta di piedi, senza clamore, tra le notizie conclusive dei telegiornali. Ad aprire, in quel tempo, c’erano i camion bomba che a Baghdad provocavano cento morti in un solo colpo, il ritrovamento dei diari segreti di Benito Mussolini da parte di Marcello Dell’Utri, la candidatura di uno sconosciuto senatore nero alla presidenza degli Stati Uniti, e le manifestazioni contro l’ampliamento della base Nato di Vicenza. Era il febbraio del 2007 e la più grande crisi economica della storia recente, probabilmente successiva solo alla Grande Depressione del 1929, nonché alla seicentesca bolla dei Tulipani, si affacciava timidamente.

Hsbc, Bear Stearns e Lehman Brothers. E poi fu il diluvio
Il primo scossone giunse dalla Hsbc il 7 febbraio, ovvero da uno dei più grandi gruppi bancari del mondo. È il primo istituto di credito europeo per capitalizzazione con 157,2 miliardi di euro. La sua sede si trova nella HSBC Tower a Londra. Nel febbraio del 2007 Hsbc dovette ammettere, stretta all’angolo da pettegolezzi sempre più forti, che alla fine del 2006 le esecuzioni immobiliari erano state del 35% superiori a quanto previsto. Questo significava un aumento delle insolvenze del 20% e una perdita secca di due miliardi di euro. Una profonda crepa si era aperta nel cristallo scintillante dei mutui subprime, ovvero quei prestiti erogati, soprattutto negli Usa, praticamente senza garanzie. I clienti, in massa, non stavano più restituendo i soldi, e una enorme bolla immobiliare mondiale, e finanziaria, idem, stava esplodendo. Sul perché non stessero più onorando, in massa, i debiti lo capiremo più avanti.

La mossa di Bear Stearns 
Dopo due mesi, nel giorno in cui la comunità cinese di Milano mette a ferro e fuoco via Paolo Sarpi, la banca Bear Stearns chiede la protezione del Chapter 11. Ovvero una parte della legge fallimentare statunitense che permette alle imprese che lo utilizzano una ristrutturazione a seguito di un grave dissesto finanziario. È una legge federale statunitense, e i soggetti possono, in alternativa, ricorrere a leggi statali, spesso più rapide e snelle, per gestire situazioni di insolvenza.

Il crollo di Lehman Brothers
Lehman Brothers, inizia a collassare nell’agosto di quel fatidico anno: chiude la sua banca dedicata ai prestiti subprime, BNC Mortgage, eliminando 1.200 posti di lavoro in 23 sedi. Lehman ha dichiarato che le scadenti condizioni del mercato nel settore di mutui "hanno reso necessaria una sostanziale riduzione delle risorse e dell'impegno nell'area dei prestiti subprime". Un anno dopo dichiarerà la bancarotta. A settembre la tempesta arriva in Europa travolgendo Paribas (Francia) e in Giappone. Lehman Brothers aveva un indebitamento pari a 613 miliardi di dollari, ma nel fatidico 2007 chiuse con ricavi pari 19 miliardi di dollari e un utile netto pari a 4,19 miliardi. Prima che Lehman Brothers annunciasse bancarotta, Federal Reserve e governo americano cercarono di pattuire l'acquisizione della banca d'affari da parte di Barclays o di Bank of America, che tuttavia opposero il loro rifiuto. Nonostante le condizioni sempre più disperate, le agenzie di rating mantennero giudizi più che discreti sul titolo Lehman Brothers fino a pochi giorni prima della bancarotta ("A" S&P, "A2" Moody's, A+ Fitch).

Alle origini della crisi
Queste furono le fasi convulse in cui eruppero, dirompenti, i sintomi della peste economica che da tempo covava.
E’ possibile individuare la causa scatenante della Grande Depressione, che ancora oggi mette in pericolo il capitalismo occidentale? Gli analisti, per quel che valgono le loro parole spesso, se non sempre, contraddittorie, convengono che in origine vi fu la più classica esplosione di bolla immobiliare, su cui si innestò una crisi finanziaria. A originare la contrazione nell’acquisto di immobili negli Usa, oltre ad una evidente saturazione del mercato, probabilmente contribuirono fortemente il cedimento della classe media statunitense. I primi anni del millennio si caratterizzano per le sforbiciate al costo del lavoro più violente, unite alla continua delocalizzazione produttiva, nonché alla contrazione della spesa pubblica. L'impianto teorico neoliberale spiegava le ali e la sua potenza. L'egemonia culturale, e non solo, fu raccolta dall’economia Walmart, ovvero il dilagare di lavoretti nel settore secondario e terziario, che non riuscirono a sostenere il livello di consumi che caratterizzarono gli anni di forte espansione. Iniziò quindi un tempo, a livello globale, dove il reddito da lavoro fu, ed è tuttora, sostituito dal «reddito» a debito. Vale per i singoli cittadini come per gli stati.

Cittadini e Stati, tutti indebitati
La folle scommessa dei derivati di Stato (Mondadori, pagg. 156, € 17) è un libro di Luca Piana. Warren Buffet ha definito tali strumenti, i derivati, «armi finanziarie di distruzione di massa», ed è piuttosto semplice capirne il perché. Nel libro di Piana si legge, tra le righe, il processo mentale che porta uno stato a stipulare tali accordi con istituzioni finanziarie fuori controllo: l’idea che la crescita del debito possa essere infinita. Perfino in assenza di produzione. Sul valore del debito come leva per creare sviluppo benessere sono stati scritti decine di tomi, quindi non torneremo su tale assioma. Ma che la finanza possa sostituire il lavoro, insieme ai lavoretti, cioè quanto viene teorizzato nei primi anni duemila, quando l’occidente rimane senza carte economiche, è un fanatismo che ben presto presenta il conto. Uno straordinario parallelismo, in tal senso, lo si trova nella dinamica tra il Pil dei paesi aderenti al G8, e i risultati dei contratti derivati sui titoli pubblici. I due processi sono indissolubilmente intrecciati. L’economia italiana cresce fino al 2006, e così fanno le performance dei derivati che il Tesoro stipula con le più importanti banche d’affari. Da quell’anno il tracollo per entrambi i fronti.

Teoria keynesiana sempre verde
La grande crisi nel decennio 2007 – 2017 trasforma tutto. Non si possono nemmeno enunciare le sub crisi successive: si pensi allo spread, alla deflazione permanente, disoccupazione, vampireschi paradisi fiscali incontrollabili, nonché flussi migratori fuori controllo, generati dal tentativo occidentale di creare spesa pubblica di guerra e nuovi spazi di dominio strategico. Tutto pare inutile, e la locuzione «vedere la luce in fondo al tunnel» appare sempre più come un mantra retorico. Alcuni economisti si sono spinti a dire che ci si trova di fronte al «secolo perduto»: cento anni in cui l’occidente dovrà fronteggiare un sistema economico stagnante e, ormai, privo della rete protettiva nata e sviluppata nel novecento. L’immensa sovraproduzione ingenerata da processi tecnologici sempre più potenti e pervasivi, smentisce ovviamente la teoria classica delle crisi economiche. Non sarebbe la prima volta che ciò accade, ovviamente, ma la debolezza umana verso il mito secondo cui basti produrre un bene per venderlo, ricavandone un profitto, ha la resistenza di una gramigna. Molto probabilmente il «secolo perduto» nasce dal continuo perpetrarsi di sub crisi che ingenerano aspettative sempre più cupe. La teoria keynesiana trova evidenza nella lapalissiana trappola di liquidità, scaturente da denaro a buon mercato sempre più disponibile, ma bloccato. Anche perché la sua distribuzione è polarizzata dall'effetto drenante del settore bancario sulle varie politiche espansive, in primis di QE. Non solo: l’ormai manifesta inutilità della componente umana nel processo di produzione non fa che acuire un fenomeno costante di sovra produzione. Manuale vorrebbe, nonché la pratica, che per uscire da tale situazione si portasse avanti un generosa programmazione economica pubblica, finanziata a suon di deficit spending. Operazione impossibile in un contesto dove gli Stati tendono a sciogliersi, sostituiti da nuove entità sovra nazioni, ignote per altro, o dalle multinazioanali. Per tacere del tema «debito pubblico» ormai portato a origine e fine di tutti i mali planetari.