«I piloti di F1 guadagnano troppo»: parola dell'ex presidente della Federazione
Max Mosley torna a farsi sentire dopo anni di silenzio: «I loro salari sono assurdi. L'unica preoccupazione è quanto incassano rispetto ai colleghi». Ma perché in tanti anni non fece mai nulla?
ROMA – A volte ritornano. Max Mosley, per decenni presidente della Federazione internazionale dell'automobile, ma divenuto tristemente noto nel mondo soprattutto per lo scandalo dei festini a tema nazista che lo costrinse alle dimissioni, torna a farsi sentire dopo anni di silenzio. E lo fa non più indossando i panni di estrema destra, ma addirittura quelli del grillino. L'ultima battaglia di Mosley, infatti, è quella per il taglio dei faraonici stipendi dei piloti, che secondo lui inciderebbero eccessivamente sui budget delle scuderie di Formula 1.
Salari da capogiro
L'ex numero uno della Federazione ha infatti rilasciato un'intervista al mensile maschile GQ in cui ha toccato questo tema, tornato d'attualità grazie al recente rinnovo del contratto di Lewis Hamilton con la Mercedes. Indiscrezioni attendibili parlano di 100 milioni di dollari di ingaggio per il campione del mondo in carica nel corso dei prossimi tre anni: cifre che porterebbero il suo salario in linea con quelli di altri campioni come Kimi Raikkonen e Sebastian Vettel, che fino all'anno scorso guadagnavano intorno ai 22 milioni di euro a testa. Ancor più ricco è ad oggi Fernando Alonso, che con il passaggio dalla Ferrari alla McLaren si è guadagnato anche un aumento di stipendio. «Tutto questo è assurdo», ha commentato senza mezzi termini Mosley.
La proposta: un tetto ai budget
«Se fossi il dittatore di questo sport, ogni team avrebbe lo stesso budget e potrebbe spendere un po' di più per il pilota e meno per la vettura o viceversa – ha spiegato – Invece l'unica preoccupazione dei piloti è quanto guadagnano rispetto ai loro colleghi». Certamente Mosley non ha tutti i torti: mantenere stipendi del genere in tempi di crisi è quantomeno immorale, eppure è una conseguenza inevitabile delle leggi del libero mercato, visto che a pagare gli ingaggi dei campioni non sono certo enti pubblici, ma aziende private, libere di disporre come credono del loro denaro. Ma la riflessione più interessante è un'altra: Mosley è effettivamente stato qualcosa di simile ad un «dittatore» della Formula 1 per molti decenni, imponendo i suoi regolamenti grazie anche all'alleanza di ferro con il patron Bernie Ecclestone. Perché, durante tutto quel periodo, non ha mai fatto nulla di concreto per limitare le spese folli delle scuderie? Ora che non conta più niente, le sue critiche paiono davvero fuori tempo massimo.
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