27 aprile 2024
Aggiornato 01:00
Non più vicini di box, ma rivali sì

Jorge Lorenzo, polemica infinita: «La Yamaha ha sempre tifato per Valentino Rossi»

Anche oggi che è passato alla Ducati, Por Fuera non la smette di punzecchiare la sua ex squadra e il suo ex compagno: «Il Dottore era il loro diamante, gli faceva vendere le moto, quindi loro stavano dalla sua parte»

Jorge Lorenzo e Valentino Rossi da compagni di squadra alla Yamaha
Jorge Lorenzo e Valentino Rossi da compagni di squadra alla Yamaha Foto: Michelin

ROMA – Anche oggi che ha cambiato aria, Jorge Lorenzo non riesce proprio a fare a meno di punzecchiare il suo ex compagno Valentino Rossi e la sua ex squadra, la Yamaha. Stavolta, l'occasione per polemizzare gliel'ha offerta una dichiarazione del team manager della casa dei Diapason, Maio Meregalli, che ha sostenuto che, da quando Por Fuera se n'è andato, l'atmosfera nel box è molto migliorata. Non l'avesse mai detto. «Credo che non sia stata una dichiarazione molto felice, venendo da una persona che stava molto più dalla parte di Rossi – lo ha bacchettato il campione maiorchino nella sua ultima intervista concessa al quotidiano sportivo spagnolo Marca – Per una ragione o per l'altra, non appena ho capito che Meregalli tifava per Rossi, ho evitato che entrasse troppo spesso nel nostro box, perché il compagno di squadra è il tuo primo rivale. Perciò, le sue parole sono state influenzate proprio dal fatto che non facevo entrare spesso quella persona nel nostro box. E, non appena io me ne sono andato dalla Yamaha, si è lasciato andare a quella dichiarazione». E, se dopo nove anni di convivenza forzata, ancora il concetto non fosse chiaro, Lorenzo lo ribadisce di nuovo: la Yamaha, sostiene lui, ha sempre guardato con un occhio di riguardo il Dottore. «La Yamaha ha un pilota che è un'icona del motociclismo e doveva prendersene cura, perché ha fatto vendere loro molte moto ed è molto mediatico – prosegue – Perciò, quando siamo arrivati al punto di lottare per il campionato tra di noi, non è stato facile gestire quella situazione. Comprendo che dovevano prendersi cura del loro diamante, per poter continuare a vendere moto. Che lo si voglia o meno, nonostante i risultati, o i pochi o tanti anni che ha passato senza vincere il titolo, è ancora molto forte mediaticamente e questo favorisce molto le vendite delle moto. Perciò è difficile garantire lo stesso trattamento ai due piloti in condizioni estreme, come quando si lotta per il Mondiale. E io, in questo senso, ho sempre detto che lo comprendevo».

Un pilota da viziare
Una situazione drasticamente diversa da quella che vive oggi in Ducati, dove è finalmente il leader indiscusso della squadra, coccolato e vezzeggiato: «Ovviamente, se la squadra ti apprezza e te lo fa capire, se ti ama, si prende cura di te, tu stai meglio – ammette il cinque volte iridato – Questo è ovvio. Ma devi anche capire il motivo. La Ducati è un marchio che vuole vincere: per questa ragione mi ha ingaggiato. Sono molto entusiasti. Io rappresento la novità e voglio dare il massimo. Ma la cosa importante è che questo affetto si mantenga nel tempo a prescindere dai risultati: se saranno negativi, che continuino a credere nel pilota e a prendersene cura. È come il rapporto con una ragazza. All'inizio tutto è bellissimo, ci si tratta molto bene, si sopportano i reciproci difetti, ma poi la routine e il passare del tempo ti portano a non riuscire ad accettare più tutti gli aspetti di quella persona. Questo può succedere un po'. Ma, più che l'affetto, ciò che mi ha spinto a fare il salto alla Ducati è stata la motivazione. Il fatto di diventare uno dei pochi piloti ad essere riusciti a vincere il campionato con due moto diverse, di essere l'unico insieme a Stoner a vincere con la Ducati. E sentirmi vivo, provare un altro tipo di moto, lavorare con persone diverse, un ambiente diverso, colori diversi. Dopo tanti anni con la stessa gente, la stessa moto, lo stesso ambiente, che ti piaccia o no, inizi a sederti. Anche se sei molto professionale e senti il privilegio di essere un pilota di MotoGP, la routine tende a spegnere quel fuoco che ogni atleta deve avere dentro per dare il massimo».