27 agosto 2025
Aggiornato 19:30
Pesano le delusioni di Roma e Torino

Il tramonto del M5s, esplosiva miscela di conformismo che ci ha tolto la speranza di una politica diversa

Le amministrazioni pentastellate sono riuscite a caratterizzarsi per una continuità quasi imbarazzante rispetto alle amministrazioni precedenti, assenza di umiltà che deborda nella presunzione, chiusura al dialogo con i cittadini.

ROMA - Il «tramonto negli occhi»: con queste parole si chiude la lettera di scuse di Chiara Appendino ai torinesi, per le vicende di piazza san Carlo a Torino. Un passaggio profetico perché il tramonto negli occhi si è manifestato per il Movimento 5 Stelle nazionale. Peccato, davvero: ma non poteva che andare così. Non poteva che giungere - aspettato e temuto da chi non è un pasdaran - un tramonto politico, e culturale, per il movimento fondato da Beppe Grillo e Davide Casaleggio. Magari sarà solo una bastonata salutare, se riusciranno a riflettere sugli errori di questi mesi. Sempre che non si pensi che è stata una vittoria, come fa ad esempio il capo politico Beppe Grillo, che senza rendersi conto ripete le stesse parole che furono dei dinosauri della prima Repubblica che non riuscivano mai ad ammettere la sconfitta. Al di là di queste reazioni amareggiate, perché gli elettori hanno girato le spalle al M5s, ingrossando le fila della disillusione? Le amministrazioni pentastellate sono riuscite a caratterizzarsi per un’esplosiva miscela di conformismo culturale rispetto alle amministrazioni precedenti, assenza di umiltà che deborda nella presunzione, chiusura al dialogo con i cittadini. Dovevano cambiare l’Italia, alla fine l’Italia ha cambiato loro. Probabilmente estremo esempio dell’insuperabile tratto antropologico italiano, un Dna impazzito che produce solo furbetti che pensano di operare come grandi statisti.

Miscela esplosiva
Chi conosce le esperienze di Roma e Torino non può che essere sconcertato dalla dicotomia tra le promesse elettorali, il programma, e quanto poi messo in pratica. Esattamente l’opposto: con un accanimento degno di studio scientifico a Torino l’intero impianto programmatico è stato sovvertito. Un passaggio importante questo, perché nessuno mai come il M5s ha rivendicato il diritto, anzi il dovere, di promettere ciò in cui non si crede solo per cacciare via gli altri e prendere il potere. Il diritto di sostenere promesse fatue, dette così per far contenti gli elettori. Nella totale convinzione che a fronte di atti opposti a quanto promesso – la vicenda della pioggia di centri commerciali a Torino è paradigmatica – i cittadini alla fine dimenticano tutto, si adeguano. Lontananza dalla realtà che si manifesta, ad esempio, con l’incredibile tentativo - sempre a Torino - di vendere la finanza islamica come il paradiso del nuovo capitalismo, addirittura "etica", incuranti di cosa sta accadendo nel mondo (di questo argomento noi del Diario siamo stati i primi a parlarvi in questo speciale). Ma le voci corrono, e non per colpa dei giornali nemici che ora ne tessono lodi per il «pragmatismo» – cioè i 5 Stelle fanno esattamente come chi li precedeva - bensì nei bar, nei mercati tra le persone comuni. Che magari volevano solo vedere l’erba tagliata nel giardino sotto casa, o due pattuglie di vigili in più nelle zone periferiche, o la salvezza della panetteria dalla bulimia dei centri commerciali giganti, o la salvaguardia dei momenti comunitari e culturali. Anche perché se non riesci a realizzare semplici atti di civiltà, è chiaro che non potrai essere un’alternativa nei massimi sistemi.

Le ragioni di una disfatta
Le elezioni amministrative dimostrano che il cuore della proposta politica centrato sull’alato programma «Ma allora il Pd???? Renzi fa schifo, Berlusconi pure sono tutti ladri» è finito. Non basta puntare su una presunta superiorità morale, quanto meno sul piano locale. Che, per chi ha apprezzato il M5s, doveva essere il luogo dove riportare la partecipazione dal basso, delle persone comuni. Gli esempi di conformismo e presunzione sono amari e reiterati: il siluramento dell’assessora all’ambiente di Torino, Stefania Giannuzzi, dopo i fatti di piazza san Carlo, lascia senza fiato. Un esempio giunto nel giorno delle elezioni, che dà la cifra di un partito spietato. Licenziamento senza giusta causa, di cui nessuno ha spiegato le ragioni: accusata – la povera Stefania Giannuzzi - di essere «timida e fragile». Agnello sacrificale buttato in pasto alla cittadinanza inferocita nel tentativo di placarla e salvare la ghirba ai vari Richelieu dei poveri. E cosa dire del mucchio selvaggio con Partito Democratico, Lega e Forza Italia sulla nuova legge elettorale, che prevedeva i capi lista bloccati, ovvero il Parlamento di nominati, quello che al tempo delle origini i 5 Stelle vedevano come il male assoluto. Ora va bene. Così, come se nulla fosse, con votazioni a comando sul blog, ormai relegato a cestino pletorico: un luogo dove si può dare solo ragione al capo. «Uno vale uno» era bello, nobile, alto a faticoso. Si è preferito uno vale per tutti, come un Renzi qualsiasi. E la cacciata della vincitrice delle votazioni on line interne al M5s di Genova, Marika Cassimatis? Senza dare spiegazione, così d’imperio, un trattamento da sudditi per tutti coloro che avevano creduto al mito della partecipazione dal basso. Ma gli esempi che hanno portato il M5s ad essere percepito, a ragione, quale un partito come gli altri sono molteplici.  E’ andata così, ed è un peccato. Il M5s paga le sue incongruenze, duramente. E tra l’altro, coloro che gli voltano le spalle non tornano nemmeno nei vecchi partiti, ma si rifugiano nell’astensione, nella disillusione e nel nichilismo. Questa, forse, è la vera sconfitta del M5s: aver tolto la speranza per una politica diversa, in cui in molti avevamo creduto. E senza i voti dei delusi che sono finiti dentro il grande ventre della disillusione, il M5s non vincerà mai: e men che meno cambierà l’Italia.