25 aprile 2024
Aggiornato 12:00
Velivoli definiti «a sovranità limitata», per compiacere Washington

F-35, anche per il Pentagono sono inefficaci. Ma l'Italia continua a spenderci milioni di euro

Un rapporto del Pentagono ammette che i famosi F-35 sono inefficaci e pieni di carenze. Eppure i nostri Governi non possono fare a meno di spendere milioni per compiacere il «super-alleato» americano

Il rappresentante della Politica estera Ue Federica Mogherini, il premier Paolo Gentiloni e il ministro della Difesa Roberta Pinotti.
Il rappresentante della Politica estera Ue Federica Mogherini, il premier Paolo Gentiloni e il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Foto: ANSA/CLAUDIO SALVALAGGIO ANSA

ROMA – Gli F-35 tornano ciclicamente d'attualità come simbolo delle spese «inutili» del nostro Governo. Si tratta di caccia di quinta generazione monoposto utilizzabili per ruoli di supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico e missioni di superiorità aerea. Battendo il Boeing X-32, l'F-35 è diventato il vincitore della gara per il programma JSF (Joint Strike Fighter) per la ricerca di un aereo che potesse sostituire altri tipi di velivoli usati dalla marina militare Usa e dai marines.

Quando Beppe Grillo e Matteo Renzi la pensavano allo stesso modo
Al di là dei tecnicismi, il tema torna alla ribalta periodicamente, soprattutto nei momenti di acceso dibattito politico. «Gli F35 trasformeranno l'Italia in una colonia Usa», tuonava Beppe Grillo nel 2014 dal suo blog. «14 miliardi di euro per gli F35», denunciava ancora nel febbraio 2015. Ma non è solo il «populista» pentastellato a pensarla così. Nel 2012 Matteo Renzi, allora sindaco di Firenze ma già in forte ascesa nel PD, disse: «Continuo a non capire perché buttar via così tanto sulle spese militari, a partire dalla dozzina di miliardi necessari a comprare i nuovi F-35. Anche basta, dai». Peccato che poi, quando si è insediato a Palazzo Chigi, l'ex premier abbia cambiato idea. Nonostante un rapporto dello stesso Pentagono evidenzi come gli F-35 siano, oltre che costosissimi, addirittura inefficaci per le loro finalità di difesa teoriche.

Il rapporto del Pentagono: 276 problemi tecnici sugli F-35
Il documento è firmato da Michael Gilmore, direttore uscente del dipartimento test del Pentagono, ed elenca ben 276 problemi tecnici legati ai tristemente famosi caccia. Nella relazione si rileva che «sono state riscontrate significative mancanze ben documentate con conseguente prestazioni operative complessive inefficaci. Centinaia di mancanze non saranno adeguatamente affrontate con correzioni e rettifiche verificate con prove di volo all'interno del sistema di sviluppo e dimostrazione». Gilmore pone particolare attenzione al cannone da 25 millimetri ed al software di diagnostica Alis. Si tratta del centro nevralgico del funzionamento del sistema F-35, perché permette ai piloti nonché alla forza a terra di supporto di intraprendere azioni per garantire l’efficienza del caccia in qualsiasi teatro operativo.

Problemi di visuale
Non solo: nel documento si sottolinea come esista anche un grosso problema di visuale vista la «bassa capacità per il pilota di discernere le caratteristiche di destinazione e di identificare obiettivi a intervalli tattici utili». «Effetti ambientali, come l'umidità elevata, spesso costringono i piloti a volare più vicino al bersaglio di quanto desiderato per discernere le sue caratteristiche e poi impegnarsi nell’attacco, molto più vicino di quanto necessario […] potenzialmente allertando il nemico, esponendo l'F-35 alle minacce intorno alla zona di destinazione».

Un programma «sproporzionato», ma a cui Roma non rinuncia
Le criticità, insomma, sono numerose e indiscutibili. E spingono a chiedersi come mai l'Italia spenda milioni di euro per dotarsi di velivoli che, per stessa ammissione del Pentagono, rischiano di essere anche inefficaci, se non addirittura pericolosi. L'acquisto da parte dell'Italia dei cacciabombardieri prodotti dall'americana Lockheed Martin risale al 2009, dopo circa un decennio di partecipazione del nostro Paese a fasi di sperimentazione preliminare. Per giustificare tale cospicua spesa, si citò (e in parte si cita ancora oggi) la necessità di rimpiazzare 253 aerei da attacco. Eppure, come ben riporta l'Osservatorio sulle spese militari (Milex), nel 2009, al momento del voto parlamentare, gli aerei da rimpiazzare erano solo 153, e pochi anni prima l'Italia aveva già deciso di comprare 121 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon. Non solo: in un rapporto riservato inviato al Parlamento italiano nel 2014 da alti ufficiali dell’Aeronautica in congedo ed ex dipendenti di Alenia Aermacchi, la flotta aerea italiana veniva considerata «più che sufficiente», e si definiva il programma F-35 come «assolutamente sproporzionato».

La mozione del Parlamento ignorata dal governo Renzi
Così, su sollecitazioni dell'opinione pubblica, nel 2014 la Camera dei Deputati votò una mozione di dimezzamento del budget originario per gli F-35. Peccato che il Governo italiano, allora guidato da quello stesso Renzi che, da sindaco, agitava le folle sul tema, optò per ignorare la mozione, e anzi, secondo quanto sostenuto da Milex, si finì per aumentare il budget da 13 a 14 miliardi complessivi. Non solo: lo stanziamento globale per gli F-35 rimane pubblico fino al 2015, ma dal 2016 nessuna notizia in materia è reperibile in qualsiasi documento governativo. Una grave carenza di trasparenza che rende ancora più controversa la questione. Secondo quanto Milex ha potuto ricostruire, al momento attuale l’Italia ha già speso per il programma JSF F-35 oltre 3,6 miliardi euro, di cui almeno 1,3 miliardi per l’acquisto dei primi otto esemplari (al costo medio di 150 milioni l’uno) e per gli acconti relativi ad ulteriori sette velivoli con sottoscrizione di contratti avvenute anche nel 2016. Il tutto, a due anni dalle inascoltate mozioni parlamentari.

Totale mancanza di trasparenza
Al quadro già di per sé grave si aggiunga un dato: non solo l'acquisto di F-35 non realizza in toto la promessa della Difesa di creare 6.400 posti di lavoro (il dato reale si aggirerebbe intorno ai 1200), ma non apporta neppure quella crescita di know-how tecnologico tanto sbandierata. Perché  l’Italia non ha accesso alle tecnologie più avanzate del programma, accessibili invece solo al personale statunitense. Tanto che quei cacciabombardieri sono stati definiti icasticamente «a sovranità limitata». E non solo per le restrizioni tecniche e operative imposte all'Italia, ma anche perché rappresentano l'emblema di una fedeltà cieca e acritica al super-alleato americano. Non è un caso che siano ancora oggi un tabù, necessario a tenere ben saldamente in piedi le relazioni diplomatiche con l'altra sponda dell'Atlantico, nonostante tutte le criticità rilevate. Tutto, ovviamente, a nostre spese.