13 gennaio 2025
Aggiornato 15:00
Il futuro del Governo

Commissioni, Renzi prova a blindare PD e maggioranza

Dopo una nottata di trattative, la chiusura dell'accordo sui presidenti di Commissione della Camera fotografa questa intenzione: riconfermati tutti gli esponenti della minoranza interna che hanno ruoli alla Camera, anche chi ha votato in dissenso col gruppo su provvedimenti important; grande generosità con gli alleati centristi.

ROMA (askanews) - Matteo Renzi prova a ricompattare Pd e maggioranza in vista dei prossimi complicati passaggi parlamentari, soprattutto in Senato. E dopo una nottata di trattative, la chiusura dell'accordo sui presidenti di Commissione della Camera fotografa questa intenzione: riconfermati tutti gli esponenti della minoranza interna che hanno ruoli alla Camera, anche chi ha votato in dissenso col gruppo su provvedimenti importanti, in primis Guglielmo Epifani; grande generosità con gli alleati centristi che si ritrovano a guidare la commissione Affari Costituzionali con Mazziotti (Sc), la Finanze con Bernardo (Ap) e la Affari sociali con Marazziti (Pi).

Non solo: rottura coi Cinque Stelle, e mano libera per le altre opposizioni - compresa Forza Italia che pure ha perso i suoi 4 presidenti - a ridimensionare la presenza grillina negli uffici di presidenza delle Commissioni. Il tutto facendo fino a ieri notte la faccia cattiva, con Epifani tenuto sulla corda fino a tarda ora (Luca Lotti, raccontano nel Pd, vestiva i panni del poliziotto cattivo), e oggi chiedendo tramite il capogruppo Ettore Rosato un giro di vite sulla disciplina interna: «Non possono essere le correnti a decidere come i deputati votano in Aula, si rispetta il principio di maggioranza, anche rendendo più severe le norme dello statuto».

Se la fotografia è questa, differiscono però le interpretazioni della mossa del premier. La narrazione dei renziani è questa: «Matteo ha voluto dare un segno di disponibilità, e ora in cambio chiede disciplina interna e di farla finita con i continui distinguo». La risposta della minoranza suona invece così: «I numeri in Senato sono risicati, come dimostra la manica larga verso tutte le formazioni centriste, anche quelle più ridotte, e se avesse epurato Epifani sarebbe stata una dichiarazione di guerra e il clima a palazzo Madama sarebbe diventato ingestibile...». Quanto alla disciplina interna, «vediamo come e quando si concretizzeranno queste modifiche...». Anche la minoranza Pd «responsabile» riconosce le difficoltà di un intervento sulle regole: «Al massimo potremo avere un argomento mediatico in più contro chi vota in dissenso, ma non è che possiamo diventare i Cinque Stelle che cacciano tutti...».

Insomma, i renziani raccontano la vicenda come una dimostrazione di forza e al tempo stesso magnanimità del premier, di fronte a una minoranza che anche sull'abolizione della Tasi polemizza chiedendo gradualità. Ma gli esponenti della minoranza la vedono più come la consapevolezza delle difficoltà numeriche di palazzo Madama. Senza mostrarsi troppo preoccupati di un giro di vite sulla regole d'ingaggio parlamentari. Resta il fatto che Renzi non intende minimamente fare retromarcia sul fisco: «Dopo anni di confusione sulla prima casa, semplifichiamo - spiegano i consiglieri del premier - non è che possiamo metterci a fare i distinguo... E la partita vale 3,5 miliardi su un piano di riduzioni di circa 60 miliardi, è marginale».

La minoranza legge anche l'intervento sul governo, ormai slittato a settembre, legato ai numeri del Senato: «Ha bisogno di tenere libere quelle caselle per poter continuare a promettere ricompense», dicono dalla minoranza. Una possibile interpretazione, prima della quale però c'è l'oggettiva complessità della partita: Cesare Damiano, dato come viceministro allo Sviluppo, ha fatto sapere di non voler andare al governo ma di preferire la guida della commissione Lavoro, cui è stato riconfermato oggi. Va dunque individuato un sostituto. Mentre neanche l'incontro di ieri con Alfano ha sciolto il nodo del ministro degli Affari regionali: a Renzi pare non piaccia il nome di Quagliariello, su cui invece insistono i centristi. L'unico per ora non messo in discussione è Enzo Amendola come viceministro degli Esteri.

Ma nei capannelli dei deputati Pd circola anche un'altra operazione cui Renzi deve decidere se dare il via, ovvero il rafforzamento della segreteria Dem: raccontano dal Nazareno che Lorenzo Guerini da tempo chieda di essere «liberato» dal doppio incarico, ovvero di vice segretario politico (con il segretario a palazzo Chigi) e responsabile organizzazione. Così come Deborah Serracchiani, vice e al tempo stesso responsabile infrastrutture, con in più la presidenza della Regione Friuli. Il piano prevederebbe dunque lo «spacchettamento» delle competenze dei vice, con l'innesto di volti nuovi. Resta da vedere se il premier si convincerà.