Renzi vince ma non convince
Nel giorno della verità a primeggiare è stato il premier. Ma ha vinto una battaglia, mentre resta incerto l'esito della guerra che si scatenerà nei prossimi giorni in Senato intorno alla riforma del lavoro.
ROMA - Vincere, ma non convincere è un termine calcistico che sembra coniato su misura per sintetizzare l'esito della convulsa direzione del Pd che si è conclusa con una voto a larga maggioranza a favore della linea di Matteo Renzi.
RENZI HA VINTO SOLO SULLA CARTA - Il segretario del partito è uscito da via del Nazzareno con un abbondante 80 per cento di consiglieri che hanno votato a suo favore o si sono astenuti. Inoltre Renzi grazie, ad alcuni ritocchi sull'articolo 18 e all'annuncio che a Palazzo Chigi tornerà di moda la concertazione con i sindacati, è riuscito nel non facile compito di spaccare quella minoranza che alla vigilia si presentava compatta nel progettare vendette e rivincite.
I VOTI SI CONTANO O SI PESANO? - C'è da chiedersi come mai, nonostante l'ampiezza del risultato, non è sbagliato dire che il premier non ha convinto. Per spiegare una delle regioni che giustificano questo giudizio bisogna andare indietro con la memoria ad Enrico Cuccia, l'inventore di quello che una volta era conosciuto come "il salotto buono della finanza."Le azioni non si contano, ma si pesano" era la regola a cui si atteneva il padre padrone di Mediobanca. Tradotto voleva dire che lo sparuto numero di azioni delle società in mano a quei pochi industriali che avevano accesso al suo salotto, in termini di potere valevano molto di più del grosso dei titoli in mano ai piccoli risparmiatori o al cosiddetto "parco buoi" di Borsa.
UN ESERCITO DI PICCOLI ROTTAMATORI - Se spostiamo il mirino da Piazza Affari a via Nazzareno, vedremo che le truppe del premier sono costituite per gran parte di peones o giovani rottamatori, mentre dall'altra parte ci sono schierati tutti i nomi della vecchia nomenklatura. In teoria il paragone fra maggioranza e opposizione all'interno del Pd non reggerebbe, ma nell'impatto mediatico e quindi nel rapporto con la base del partito, gli equilibri numerici cambiano o addirittura si ribaltano. Tanto è vero che per compensare lo spazio dato dai telegiornali della Rai ad una dichiarazione di Bersani ci vuole perlomeno un intero pacchetto di interventi concessi ai pesi leggeri Maria Elena Boschi, Susanna Madia o Debora Serracchiani.
PESI MASSIMI E PESI LEGGERI - Sempre per restare in tema di mesi massimi e pesi leggeri, ai più non sarà sfuggito che allo sfogo contro Renzi del rottamato Massimo d' Alema il Corriere della sera nei giorni scorsi ha concesso addirittura l'onore dell'apertura a tutta pagina. Il che vuol dire che i rottamati sono ancora vivi e vegeti nel Partito Democratico e soprattutto vantano amicizie potenti. Ora questo quadro potrebbe essere confinato nell'ambito della guerra fra media o dei mugugni di prima classe, ma è difficile che il premier possa trascurare il campanello d'allarme che gli è arrivato, dopo ieri sera, dal voto in direzione. Cifre alla mano, tolti i voti della minoranza del suo stesso partito, nell'aula del Senato, dove la materia lavoro sta per sbarcare, al governo Renzi non resta che una risicata maggioranza di appena 7 voti. Sempre che gli undici che si sono astenuti in direzione non prendano nel frattempo un'altra strada. E intanto Stefano Fassina ha già dichiarato che l'intenzione dei dissidenti non è quella di far saltare il governo, ma semplicemente di votare gli emendamenti già presentati dalla minoranza. Cioè far saltare il governo.
UN DILEMMA CHIAMATO BRUNETTA - Qualora i 7 voti al Senato su cui si regge la maggioranza dopo ieri sera dovessero vacillare, al premier non resterebbe quindi che bussare alla porta dei soci del patto del Nazzareno. E' un rischio che Renzi potrebbere correre nel segreto delle urne. Ma il presidente del Consiglio sa bene che i primi a cambiare le sembianze di una richiesta di aiuto, nel vessillo di un irreversibile ribaltone politico, sarebbero quegli stessi stessi che in questi giorni gli stanno offrendo ciambelle di salvataggio a piene mani.
Ma è auspicabile, ancorchè possibile, per Renzi passare dalle cure di Stefano Fassina a quelle di Renato Brunetta? Nei prossimi giorni la partita in Senato si giocherà intorno a questo dilemma. Auguri.
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