29 marzo 2024
Aggiornato 06:00
imposte digitali

Web Tax in Italia, cosa dice l'emendamento approvato dal Senato

L'emendamento della web tax prevede un'imposta al 6% da applicare ai ricavi derivanti dalle transazioni digitali (dall'e-commerce alla pubblicità online)

Web Tax in Italia, cosa dice l'emendamento approvato dal Senato
Web Tax in Italia, cosa dice l'emendamento approvato dal Senato Foto: Shutterstock

ROMA - La commissione Bilancio del Senato ha dato il via libera alla web tax, l’imposta al 6% sulle transazioni digitali, che sarà attiva a partire dal 1° gennaio 2019. Ingente il gettito atteso che dovrebbe arrivare a 114 milioni di euro annui dal momento della sua entrata in vigore. L’emendamento approvato (a prima firma di Massimo Mucchetti, presidente della Commissione Industria del Senato) è arrivato dopo una serie di annunci e correzioni, e prevede l’esclusione dall’imposta delle imprese agricole e dei «soggetti che hanno aderito al regime forfetario o al regime di vantaggio per i contribuenti di minore dimensione».

L’emendamento prevede quindi una flat tax del 6% da applicare alle prestazioni di servizi effettuate con mezzi elettronici (dall’e-commerce alla pubblicità online). L’obiettivo, naturalmente, è tassare i ricavi digitali prodotti in Italia dalle aziende cosiddette Over the top, e cioè i colossi come Google e Facebook. Per evitare la doppia imposizione a quelle residenti - e colpire di conseguenza solo i colossi del web - viene introdotta per chi ha la stabile organizzazione una detrazione dell’imposta versata. Il credito di imposta può essere usato per diminuire l’importo del versamento dell’Ires o dell’Irap. Con riferimento al mercato europeo per Google e Facebook, infatti, i loro ricavi di gruppo sono concentrati in Irlanda: il ricavo dichiarato e tassato in Italia non supera lo 0,3 per cento per Google e lo 0,1 per Facebook dei rispettivi totali contro un ricavo che corrisponde a transazioni localizzate in Italia stimate pari a circa il 2,4% per Google, e al 2,8% per Facebook.

Cosa sarà tassato?
Al momento non è facile capire cosa sarà effettivamente tassato. Saranno, infatti, i provvedimenti attuativi a rendere operativa l’imposta digitale:
- entro il 30 aprile dovrà essere fissato il perimetro della base imponibile;
- entro il 30 giugno l’Agenzia delle Entrate dovrà indicare le modalità di segnalazione al Fisco delle operazioni che derivano da prestazioni di servizi con mezzi elettronici;
- sempre il direttore delle Entrate dovrà definire gli adempimenti dichiarativi e di pagamento della web tax made in Italy;

L’obiettivo resta comunque quello di tassare i ricavi derivanti dalle transazioni digitali alle quali sarà applicata l’imposta al 6%. Di fatto, non essendo ancora stabilita la vera e propria base imponibile, l’impatto della web tax sarà sui ricavi della pubblicità online. L’intero settore della pubblicità online, secondo i dati Nielsen, ha chiuso il 2016 con un incremento dell’8% dei ricavi a 2,28 miliardi di euro, piazzandosi nettamente al secondo posto come tipologia preferita dagli investitori pubblicitari, con una quota del 27,7%. In realtà l’incremento dell’8% messo a segno dal settore online nasconde soprattutto un aumento di search e social, le aree in cui sono attive Google e Facebook. Negli Stati Uniti, Google e Facebook hanno rappresentato il 99% della crescita dei ricavi della pubblicità negli Stati Uniti, acquisendo un totale del 77% della spesa lorda nel 2016, in crescita rispetto al 72% del 2015.

Il caso del Regno Unito
Il meccanismo che va sotto il nome di Diverted profits tax (Dpt) è stato introdotto nel 2015 e prevede una tassazione del 25% ma in due situazioni ben precise. Il primo caso è quello del trasferimento in Paesi a più basso prelievo: la società realizza profitti nel Regno Unito ma poi fa in modo di spostarle in Paesi con trattamento fiscale più favorevole verso soggetti che non hanno sostanza economica e che sono detentori di attività significative prevalentemente immateriali (costituzione di intellectual property companies in paradisi fiscali). Il secondo caso è la stabile organizzazione: la Dpt può scattare in presenza di situazioni elusive da parte di una stabile organizzazione di un'impresa non residente nel Regno Unito ma che comunque vende beni o servizi sul territorio.