26 aprile 2024
Aggiornato 05:30
Immigrazione

Nell'accordo a 28 tanta Italia, un po' di Francia e un pizzico di Germania: la vera novità è il paragrafo 6

L'accordo consegna alle conclusioni del Consiglio europeo un testo fortemente modificato, rispetto alla bozza iniziale, con un'impronta che parla decisamente italiano

Il premier Giuseppe Conte al Consiglio Ue di Bruxelles
Il premier Giuseppe Conte al Consiglio Ue di Bruxelles Foto: ANSA/ UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI / FILIPPO ATTILI ANSA

BRUXELLES - La lunga notte dei negoziati di Bruxelles fra i capi di Stato e di governo dell'Ue per arrivare a un testo comune di conclusioni sull'immigrazione ha prodotto un risultato che appare come l'unico compromesso possibile, e che segna certamente un miglioramento potenziale (si vedrà in seguito quanto sarà sostanziale) rispetto allo status quo. In questo senso, appare abbastanza comprensibile la rivendicazione del governo italiano di aver ottenuto il 70% degli obiettivi ricercati. Le conclusioni del Consiglio europeo sono indicazioni di indirizzo politico, spesso vaghe o ambivalenti, in modo da poter essere interpretate in modo diverso dai diversi paesi. La loro forza sta nel fatto che sono consensuali, rappresentano la volontà comune di tutti gli Stati membri espressa al massimo livello politico. Aprono una strada ancora tutta da percorrere, spesso senza la garanzia di arrivare alla meta finale; offrono potenzialità che poi vanno attuate, definite nei dettagli, rese operative. L'accordo consegna alle conclusioni del Consiglio europeo un testo fortemente modificato, rispetto alla bozza iniziale, dai negoziati fra gli Stati membri: con una impronta fortemente riconoscibile delle posizioni italiane, della mediazione francese, della costante attenzione, benché poco appariscente, della cancelliera tedesca Angela Merkel, e della durissima battaglia finale con l'Ungheria di Viktor Orban e di altri due paesi di Visegrad (Repubblica ceca e Slovacchia), con la sola Polonia appena un po' più «morbida».

Negoziato boicottato sin dall'inizio
E' bene ricordare la situazione di partenza: bloccato da profonde divisioni fra gli Stati membri, il negoziato per la riforma del regolamento di Dublino sul sistema comune dell'asilo, che oltretutto il Consiglio Ue si ostina a voler approvare all'unanimità, nonostante sia possibile legalmente l'adozione a maggioranza qualificata, e ignorando del tutto le ottime soluzioni proposte a forte maggioranza dal Parlamento europeo. Boicottato da diversi Paesi il meccanismo d'emergenza dei «ricollocamenti» dei profughi, che pure era stato approvato in Consiglio Ue. E poi i paesi del Nord Europa, Germania in testa, che chiedevano a quelli del Sud, a partire dall'Italia, di bloccare i "movimenti secondari" (i trasferimenti in Stati membri diversi da quello di primo arrivo) dei richiedenti asilo, senza offrire alcuna contropartita. Lo spazio senza frontiere di Schengen sotto pressione e pericolosamente vicino al collasso; e ancora: la solidarietà europea ridotta a una parola vuota di senso, ripetuta ipocritamente per nascondere gli egoismi nazionali e mai messa in pratica. E infine, in tutto questo, le proposte poco costruttive e poco risolutive, le mediazioni squilibrate del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, della presidenza di turno bulgara del Consiglio Ue, e della Commissione europea di Jean-Claude Juncker.

Paragrafo 6: la creazione volontaria di centri controllati
La novità più importante dell'accordo è quella del paragrafo 6, la creazione, su base volontaria, di «centri controllati» in cui sbarcare i migranti salvati in mare, per registrarli, identificarli, e per esaminarne in modo rapido, con l'intervento del personale e dei finanziamenti dell'Ue, le domande di asilo. E per smistare poi i migranti, rimpatriare quelli economici con l'aiuto dell'Ue, e redistribuire fra diversi altri Stati membri - anche qui su base volontaria - quelli che hanno diritto alla protezione internazionale. Il ricorrere, due volte, della prescrizione del carattere volontario di queste iniziative è significativo: i Paesi di Visegrad, e non solo loro, si sarebbero opposti ad altre formulazioni. Ma bisogna tenere conto di due altri fattori, non espliciti nel testo, che si leggono tra le righe: primo, è possibile che i Paesi che stringeranno questi accordi volontari (la "coalizione dei volenterosi", come la chiama Angela Merkel) decidano fra loro impegni che non sarebbero più volontari, ma con carattere vincolante, come in un contratto che si è liberamente scelto di firmare; secondo, c'è, ci sarà, evidentemente un legame fra la partecipazione a questi accordi volontari e le intese che la Germania e altri Paesi del Nord vogliono stringere con i Paesi del Sud perché mettano fine ai «movimenti secondari» e si riprendano i rifugiati di cui sono responsabili. In altre parole, l'Italia potrà dire alla Germania, o all'Austria: se vuoi che mi riprenda i miei rifugiati, quelli dei movimenti secondari, dovrai partecipare alla ripartizione dei richiedenti asilo che sbarcano nel mio paese, quelli dei movimenti primari.

Dublino resiste (un po')
Certo, viene rinviata ancora una volta, alla fine dell'anno, la riforma «strutturale» di Dublino, che doveva abolire l'ingiusto principio del «paese di primo approdo» come unico responsabile della gestione dei richiedenti asilo, per instaurare, si sperava, un meccanismo di redistribuzione automatica e obbligatoria dai Paesi di sbarco agli altri Stati membri (un'ipotesi a cui i paesi dell'Est sono assolutamente contrari). Ma questo rinvio era inevitabile comunque, e ci sarebbe stato dunque anche senza l'accordo della notte di Bruxelles.