19 marzo 2024
Aggiornato 06:30
La gabbia europea

Germania, ancora surplus commerciale da record (sulle nostre spalle)

Mentre in Italia qualcuno chiede a gran voce gli Stati Uniti d'Europa, la Germania nel 2017 ha di nuovo registrato il più grosso attivo del mondo nell’export

BERLINO - Mentre in Italia, in piena campagna elettorale, qualche forza politica chiede a gran voce gli Stati Uniti d'Europa, la Germania  nel 2017 ha di nuovo registrato il più grosso attivo del mondo nell’export: 287 miliardi di dollari. Non che sia una novità, visto che le terre teutoniche conservano questo primato, sulle spalle dei compagni europei, ormai da anni, e per di più è la seconda volta di seguito che Berlino totalizza questo attivo. Per avere un'idea più precisa della proporzione - per non dire la sproporzione - della bilancia commerciale tedesca, si pensi soltanto che il secondo massimo esportatore, la Cina, ha un attivo meno della metà, 135 miliardi di dollari.

Il deficit-Pil è tabù, mentre il surplus commerciale tedesco...
Una situazione che è palesemente contraria alle stesse regole europee, a cui Berlino non esita a richiamare i colleghi europei non appena questi sgarrano, ad esempio, sul rapporto deficit/Pil ufficialmente fissato al 3%. Allo stesso modo, l'eccedenza della bilancia commerciale, in teoria, non dovrebbe superare il 3%, ma questo limite è stato portato al 6% proprio per non mettere troppo in difficoltà la stessa Germania. Perchè dunque, viene da chiedersi, le cosiddette «cicale» del Sud Europa sono attentamente sorvegliate per non sforare il 3% sul deficit/Pil, mentre alle «formiche» tedesche (concedeteci l'ironia) è consentito di accumulare un incredibile surplus commerciale? Perchè quando un politico italiano, in campagna elettorale, ventila la possibilità di sforare sul 3%, immediatamente i vertici europei storcono il naso, mentre non fanno lo stesso nei confronti della cosiddetta «Locomotiva d'Europa»?

L'immigrazione europea responsabile del dumping salariale?
La domanda, naturalmente, è retorica. Ma a noi viene da chiederci anche come mai, con questo enorme attivo, i salari della Germania dei mini jobs restino così bassi. La risposta è giunta, pur tenuta in sordina dai media, direttamente da Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank. Che ha di recente rilevato come sia «L’immigrazione da altri stati membri della UE» ad essere in parte «responsabile della pressione sottotono dei salari in Germania». Un'affermazione evidentemente stridente con la politica «delle porte aperte» tenuta dalla Cancelliera nel 2015 nei confronti di profughi e rifugiati, soprattutto perché una delle conseguenze acclarate dal punto di vista economico dell'immigrazione di massa, specialmente se meno qualificata rispetto agli standard locali, è proprio quella di piegare al ribasso gli stipendi dei lavoratori autoctoni, che devono rendersi sempre più competitivi rispetto a quelli dei nuovi arrivati (e noi ve ne avevamo già parlato qui). Dalle parole di Weidmann, però, la «colpa» del dumping salariale andrebbe, innanzitutto, all'immigrazione europea. 

Le (incredibili) giustificazioni di Weidmann
Non solo: Weidmann ha anche difeso in questi termini le eccedenze della bilancia commerciale tedesca: «Non si può vedere il surplus tedesco isolato, ma bisogna considerare la zona euro nel suo insieme, la cui bilancia commerciale accumulata è molto lontana dal surplus tedesco», ha dichiarato. E ha aggiunto: «Il marcato aumento del recente avanzo è stato causato dai bassi prezzi del petrolio e delle materie prime e dall’euro relativamente debole. Inoltre, l’aumento dell’eccedenza riflette la politica monetaria molto allentata nell’area dell’euro». Weidmann, con queste parole, ha in pratica scaricato la responsabilità del surplus sugli altri europei, che importano beni tedeschi anche a causa delle, o grazie alle, politiche monetarie della Bce. Il numero uno della Bundesbank, tuttavia, non dice che sono proprio i salari bassi o ai limiti della sopravvivenza percepiti da 2,7 milioni di lavoratori europei in Germania una delle cause del mostruoso disavanzo commerciale tedesco. Salari che Berlino ha, evidentemente, tutto l'interesse di mantenere al ribasso.