Quel filo sottile che nei piani di Trump lega Siria, Afghanistan, Corea e Iran
L'ultimissima mossa dell'amministrazione Trump è stata quella di annunciare un cambio di passo decisivo con l'Iran. E dalla Siria all'Afghanistan, fino alla Corea del Nord, c'è un filo sottile che lega ciò che sta accadendo
NEW YORK - Dopo la Siria, la Corea del Nord e l'Afghanistan, l'amministrazione guidata dal presidente Usa Donald Trump volge la propria attenzione all'Iran. Come, del resto, ampiamente preannunciato in campagna elettorale. Il filo rosso che lega questi teatri geopolitici è la ferma volontà del Comandante in Capo di marcare una netta differenza, se non ancora nella sostanza perlomeno nei «modi», con l'amministrazione precedente.
L'annuncio di Tillerson
Uno dei pochi successi in politica estera di Barack Obama, si sa, ha riguardato proprio l'accordo sul nucleare firmato con l'Iran dopo una lunga e complessa trattativa. Quell'accordo è stato frequente oggetto di critiche da parte dell'allora candidato repubblicano Donald Trump, e ora sembra giunto il momento tanto atteso: quello di un'eventuale ridiscussione. Lo ha annunciato ufficialmente il segretario di Stato americano Rex Tillerson, affermando che gli Stati Uniti faranno una «revisione completa» delle loro politiche con l'Iran, e avvertendo che lasciare il Paese «senza un controllo» potrebbe aumentare le minacce nel mondo e portare verso una nuova Corea del Nord.
L'era Obama è chiusa, l'accordo con l'Iran a rischio
«Gli Stati Uniti vogliono evitare di mostrare per la seconda volta che la pazienza strategica è un approccio fallimentare», ha detto Tillerson in conferenza stampa, con una chiara allusione alle politiche di Obama. Martedì, parlando al Congresso, il capo della diplomazia Usa ha ricordato che la Casa Bianca sta valutando se uscire dal patto sul nucleare firmato con l'Iran nel 2015 insieme a Russia, Francia, Regno Unito, Cina e Germania. L'amministrazione Trump infatti sostiene che il Paese sta continuando a sostenere il terrorismo.
Cosa preoccupa gli Usa dell'Iran?
Tillerson ritiene che, con il patto, gli Stati Uniti abbiano «comprato» l'Iran per ora, «ma poi qualcun altro dovrà confrontarsi con questo problema più avanti». La questione, però, è decisamente controversa. Perché lo stesso Tillerson, pure molto severo con Teheran, ha dovuto ammettere che l'Iran sta rispettando tutte le clausole del famoso patto. Che cosa turba Washington, dunque? Ufficialmente, gli Usa a guida Trump sembrano aver riportato in voga il mantra neocon dell'«Iran sponsor del terrorismo». Ma, con un alleato controverso come l'Arabia Saudita, è improbabile che i veri timori di Washington siano legati a questo. Più probabilmente, ad agitare il sonno degli americani è il ruolo in Medio Oriente dell'Iran, attualmente allineato con la Russia in diversi teatri: primo su tutti, quello siriano. E in effetti, guardando con più attenzione alle recenti mosse di Trump in politica estera, la scelta di sfoderare proprio ora la carta iraniana potrebbe essere indicativa di una logica strategica ben precisa.
Le aspirazioni iraniane
Lo stesso raid siriano, ma anche la «super-bomba» in Afghanistan, potrebbero essere interpretati anche come un avvertimento alle potenze nemiche degli Usa nella regione asiatica: alla Corea del Nord in primis, ma anche allo stesso Iran. Che, con la Russia, è impegnato nella guerra per procura siriana a fianco del regime di Assad. Da anni, in effetti, gli interessi dell'Iran sono fortemente divergenti da quelli occidentali, incentrandosi su Siria, Libano e anche Afghanistan. Il timore di Washington è che Teheran possa concretizzare la propria aspirazione a diventare la potenza predominante in tutto il Medio Oriente, e che possa creare un nuovo centro di potere sfruttando l'ostilità agli Usa di altri attori internazionali.
Gli interessi contingenti di Iran e Russia
E' in questo contesto che bisogna considerare l'avvicinamento tra Iran e Russia: un avvicinamento basato prevalentemente su interessi contingenti, che guardano con simpatia al regime di Assad in Siria. Siria che, insieme all'Iraq, permetterebbe all'Iran di proiettarsi verso il bacino del Mediterraneo, come potenza antitetica rispetto alla Turchia di Erdogan.
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Verso un compattamento di Russia, Iran e Cina
C'è però un altro terreno a cui guardare con attenzione, non meramente mediorientale: quello che collega Russia, Iran e Cina. Tutte potenze, ad oggi, accomunate dalla pressoché evidente ostilità di Washington. Non sarà un caso che, poco dopo il lancio di 59 missili Usa in Siria, l'autorevole centro studi Global Research abbia indicato in un report come la strategia di Trump stia rischiando di isolare gli Stati Uniti e compattare, invece, i suoi rivali: in primis proprio Russia, Iran e Cina. Anche un eventuale allargamento della Nato a Est, con l'entrata del Montenegro, favorirebbe questo scenario, sancendo la fine ufficiale di qualsiasi possibile cooperazione con Mosca. Con la Cina, oltretutto, gli Stati Uniti hanno aperto sul tavolo non soltanto la complessa questione commerciale, ma anche il bollente dossier della Corea del Nord. Sul quale Pechino, che pure raccomanda a Kim Jong-Un prudenza, non accetterà qualsivoglia azione unilaterale da parte di Washington.
Le mosse di Trump? Non scollegate come sembra
Le mosse di Trump sullo scacchiere internazionale, apparentemente disperse per il globo e scollegate l'una all'altra, sono unite, pertanto, da un filo rosso. E, a prima vista, potrebbero dare adito a interpretazioni della sua politica estera del tutto contraddittorie rispetto alle aspettative. Global Reserach definisce l'approccio del nuovo Presidente addirittura «imperiale». All'isolazionismo che si prospettava, dunque, sembra sostituirsi sempre più un rinnovato imperialismo che potrebbe portare, alla lunga, al compattarsi dei fronti rivali: dalla Russia all'Iran fino alla Cina. Qualche segnale ci sarebbe già: come il tentativo di questi tre Paesi di marginalizzare il dollaro nei loro scambi commerciali, per non parlare dei recenti progressi nello sviluppo della Via della Seta.
Le elezioni iraniane
Siamo, per ora, nel campo delle ipotesi. Certo, quel filo rosso che lega i primi «bersagli» di Trump sembra giustificare qualche suggestione in questo senso. Le prossime variabili di cui tenere conto saranno non solo gli sviluppi sull'accordo sul nucleare, ma anche il risultato delle elezioni iraniane del maggio prossimo, che vedono la sorprendente ridiscesa in campo dell’ex-presidente Ahmadinejad. A questo proposito, c'è chi dice che la rinnovata severità di Washington nei confronti dell'Iran possa portare a un rafforzamento dei conservatori; chi, al contrario, sostiene che i giochi siano già fatti. E soprattutto che la politica estera dell'Iran, sostanzialmente proiettata alla conquista di sempre maggior influenza nella regione a discapito degli Usa, sia largamente condivisa da tutte le forze in campo.
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