Tollerante con l'Ucraina, tiranna con la Grecia: i due volti di Bruxelles
Mentre sulla Grecia torna a sventolare lo spettro del default, con l'Ucraina, nonostante i recenti scontri nel Donbass, l'Ue si mostra decisamente più benevola
KIEV - Mentre il «dossier» greco diventa più bollente ogni giorno che passa, e torna ancora, come del resto avviene ciclicamente, ad agitare i tavoli negoziali europei, la tensione si allenta invece sull'Ucraina, dove pure la situazione è tutt'altro che tranquilla. Solo pochi giorni fa, il conflitto è tornato a tingere il Donbass di sangue, lasciando sul terreno, oltre a decine di vittime, i segni dell'artiglieria di Kiev. Un'escalation che non ha messo in discussione in alcun modo il piano di aiuti rispetto a cui l'Ue ha confermato, a novembre, gli impegni già presi, aggiungendo a quei 3,5 miliardi di euro già spesi nel corso degli ultimi due anni una ulteriore tranche da 600 milioni.
La soddisfazione di Juncker
L'ultimo pacchetto è stato confermato di recente dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che, dopo aver incontrato il primo ministro ucraino Volodymyr Groysman, ha espresso sostanziale soddisfazione per le riforme portate avanti dal Paese: «Questo sarà fatto nelle prossime prossime settimane perché penso che, dopo aver visto lo sforzo di riforma dell'Ucraina, gli ucraini hanno il diritto di vedere qualcosa in cambio», ha detto ai giornalisti.
Il programma di aiuti a Kiev
Il denaro dovrebbe servire, a detta della Commissione europea, a stabilizzare l'economia e a migliorare la trasparenza del sistema finanziario e della pubblica amministrazione. A ciò si aggiunga l'assistenza del Fondo Monetario Internazionale, con un programma di quattro anni che prevede lo stanziamento di 17,5 miliardi di dollari. Kiev ha già ricevuto 3 tranches per un totale di 7,7 miliardi di dollari. L'ultima tranche è stata ricevuta lo scorso settembre. Nel 2017 l'Ucraina si aspetta di ricevere circa 5,4 miliardi di dollari.
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Gli impegni richiesti a Kiev
Certo, l'istituzione di Washington ha reso note anche le condizioni per i nuovi aiuti: secondo quanto riportato da «Ukrainskie Novosti», si tratterebbe di tagli al personale dell'amministrazione pubblica e alla spesa pubblica, di un aumento del prezzo del gas di «Naftogaz» al livello delle importazioni, nonché di regole più rigide per l'erogazione di sussidi. Inoltre, l'agenzia delle entrate avrà accesso ai conti bancari e le trattative sulla ristrutturazione del debito degli ex azionisti di Privatbank da più di 5 miliardi di dollari verranno condotte da una società internazionale. Eppure, in un momento in cui la Grecia è di nuovo sull'orlo dell'abisso, è legittimo chiedersi perché alla soddisfazione tanto sventolata dall'Ue per i sacrifici degli ucraini non sia stata affiancata da (perlomeno) un po' di sensibilità nei confronti di quelli, innegabili, dei greci.
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L'annosa questione delle riforme
Kiev ha in effetti all'attivo l'approvazione di alcune riforme caldeggiate da Bruxelles. Da ricordare, la pur parziale riforma della pubblica amministrazione, il rinnovamento delle forze di polizia, e la controversa riforma del settore energetico, che punta a svincolare l'Ucraina dalla dipendenza russa, con un significativo aumento dei prezzi di gas ed elettricità. Eppure, quello delle riforme rimane un argomento molto spinoso. Se qualcosa è stato fatto, molto altro rimane da fare: si pensi, ad esempio, alla piaga della corruzione e delle oligarchie, rispetto alla quale i miglioramenti rimangono molto modesti. Al di là dei proclami, dunque, un'analisi obiettiva della situazione restituisce perlomeno un quadro ricco di chiaroscuri.
Il destino degli accordi di Minsk
Per non parlare, poi, del dubbio impegno mostrato nella pacificazione dell'Est del Paese. La recente recrudescenza dei combattimenti, con l'offensiva di Kiev contro i ribelli vicino alla loro principale roccaforte di Donetsk, è la prova che gli accordi di Minsk sono rimasti lettera morta anche e soprattutto per parte ucraina. Come del resto dimostrano le dichiarazioni del ministro della Difesa Stepan Poltorak, che avrebbe ammesso che le truppe ucraine hanno iniziato un'offensiva e conquistato alcuni territori chiave, e quelle del suo vice Ihor Pavlovsky, che ha addirittura affermato: «L’intero Donbass è il nostro territorio». L’accordo di pace del febbraio 2015, che è stato mediato da Francia e Germania, prevedeva al contrario un cessate il fuoco e il ritiro delle armi pesanti, e prescriveva a Kiev di riconoscere ampia autonomia ai ribelli dell'Est, concedendo anche lo svolgimento di elezioni.
La Grecia sull'orlo dell'abisso
Intanto, dall'altra parte dell'Europa, sulla Grecia torna a svolazzare lo spettro del default. Le chance di trovare un nuovo accordo con i creditori entro il 20 febbraio sono minime, mentre le nuove misure di austerity proposte su pensioni ed esenzioni delle imposte sono state bollate dal primo ministro Alexis Tsipras come «non democratiche». L'allert sull'insostenibilità del debito pubblico – che viaggia attorno al 179% del Pil – è giunto anche dal Fondo Monetario Internazionale, che non ha mancato di definirlo «esplosivo», invocandone una riduzione. Concetto al quale l'ex Troika – in particolar modo Berlino – sembra decisamente allergica.
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Tolleranza e intolleranza
Al di là dei dovuti distinguo tra la situazione di Atene e quella di Kiev, la diversità di trattamento è però evidente. I partner europei sembrano predisposti a chiudere un occhio (o anche di più) quando si tratta di Ucraina, mentre con la Grecia – dov'è in corso, nel silenzio dei media, una crisi economica e sociale ormai prossima a diventare umanitaria – nessuna riforma è mai abbastanza.