24 aprile 2024
Aggiornato 17:00
Da un documento della Commissione citato da Repubblica

Davvero l'Ue fa dietrofront sull'austerity della Merkel?

L'Ue fa mea culpa. Un documento della Commissione ammetterebbe che l'austerity ha ammazzato la crescita. Ma ecco in cosa consiste il cambio di passo proposto

La cancelliera di Germania Angela Merkel.
La cancelliera di Germania Angela Merkel. Foto: Shutterstock

BERLINO - L'Europa fa dietrofront sull'austerity, e riconosce che la politica economica imposta dalla Germania di Angela Merkel ha bloccato la crescita. Fantascienza? No, la verità. Almeno stando alle indiscrezioni riportate da Repubblica, che cita uno dei documenti che domani sarà approvato dalla Commissione europea, dall'eloquente titolo «Towards a positive fiscal stance for the euro area», «Verso una politica di bilancio positiva per l'eurozona».

Il documento della Commissione
Il documento in questione spiegherebbe che l’austerity 2011-2013 è servita a salvare diversi Paesi dal default, ma «ha danneggiato la crescita». E riconoscerebbe che ora «per rinforzare la ripresa ed evitare la trappola della bassa crescita e bassa inflazione serve una politica di bilancio più espansiva». La sola politica monetaria della Bce, insomma, non può rilanciare il reddito dell’eurozona. Per questo, nel 2017 lo 0,5% del Pil dell’area euro sarebbe impiegato per rilanciare l’economia.

Le stesse regole non valgono per tutti, e l'Italia è dietro alla lavagna
Una politica espansiva da modulare a seconda dei casi. Gli allievi meno solleciti, chi ha un alto debito, dovrebbe essere più cauto, mentre chi ha il bilancio in ordine potrebbe spendere di più. La Commissione indicherebbe esplicitamente l’Italia tra i Paesi che dovrebbero usare una certa prudenza, pur riconoscendo che nel breve periodo per Roma, Parigi e Madrid un po’ di spazio fiscale sarebbe utile. I virtuosi che invece potrebbero spendere di più per rilanciare i consumi e l’economia sarebbero Germania, Olanda, Estonia, Malta e Lussemburgo.

L'ennesimo palliativo
Non che sia un vero cambio di passo, in realtà. Perché l'approccio globale alla questione non cambia, e ancora una volta, come accaduto per la flessibilità junckeriana, l'iniziativa, se confermata, assomiglia piuttosto a un debole palliativo applicato, peraltro, con differente intensità rispetto ai diversi Stati europei. in base alla loro «diligenza» E chi avrebbe più bisogno di elasticità - cioè i più indebitati - sono nel gruppo degli sfavoriti.

Il fronte anti-austerity di Tsipras
Ma che qualcosa si stesse muovendo era noto fino dallo scorso settembre, quando il primo ministro greco Alexis Tsipras - che degli effetti dell'austerità ne sa qualcosa - ha convocato i primi ministri socialisti del Sud Europa per fare fronte comune contro la politica dettata dalla Germania. Un'iniziativa che da Berlino e Bruxelles non hanno preso troppo sul serio, ma che è stata anzi oggetto di critiche, se non di battute di spirito. Il capogruppo del Ppe, che raccoglie i partiti popolari europei, Manfred Weber, ha definito «irresponsabili» il premier italiano Matteo Renzi e Hollande, dicendo che «si lasciano manipolare da Tsipras». Ma a guidare l'offensiva contro l'alleanza per la flessibilità è stato Wolfgang Schauble, ministro delle finanze tedesco, che ha ironizzato: «Dai vertici dei socialisti non esce mai niente di intelligente».

I partecipanti
Il cosiddetto 'Club Med', anche detto «fronte anti-austerity», era composto dai leader di  Grecia, Italia, Francia, Portogallo, Malta e Cipro. L'ingresso della Francia guidata da Francois Hollande lo ha rafforzato tanto quanto l'uscita di scena di David Cameron e la prospettiva della Brexit (l'abbandono dell'Ue da parte della Gran Bretagna) hanno indebolito il fronte rigorista. 

Gli obiettivi
Certo, «anti-austerity» è una parola grossa. L'intento, più che essere apertamente rivoluzionario, è quello di moderare le politiche economiche dettate da Angela Merkel. Lo stesso premier Matteo Renzi, che pure più volte ha ingaggiato il braccio di ferro con Bruxelles per qualche punto di flessibilità in più, non è certo l'uomo che potrà far cambiare rotta all'Europa. Anche se sarà proprio la Capitale d'Italia a ospitare il prossimo appuntamento, che si terrà a marzo, quando verranno celebrati i sessanta anni dei trattati di Roma. Un appuntamento che sarà un banco di prova per Renzi, che spesso ha esortato l'Europa a tornare la terra del bello e della cultura, piuttosto che la patria dei tecnicismi. Parole che molto probabilmente, e nonostante qualche piccola deroga qua e là, rimarranno lettera morta.