24 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Sei Paesi pronti a sospendere Schengen per due anni

Ecco come l'Europa, su Schengen, sta beffando l'Italia (e dimenticando se stessa)

La riunione di ieri tra i ministri degli Interni ha sancito la volontà di sei Paesi (e di altri che ne seguiranno l'esempio) di sospendere Schengen per due anni. Quello che non ci raccontano sono le conseguenze di questa decisione su Paesi come Italia e Grecia. La triste dimostrazione di come oggi funziona l'Europa

BRUXELLES - Giorni fa si è parlato di una probabile e vicina ridiscussione del famigerato trattato di Dublino, quello che costringe i richiedenti asilo a fare richiesta nel primo Paese sicuro d'arrivo, e contro cui da tempo l'Italia combatte. Perché quel regolamento, oltre a non tenere assolutamente conto della volontà dell'aspirante rifugiato, sovraccarica di fatto gli Stati-frontiera dell'Europa, che poi sono spesso quelli più in difficoltà a livello economico: Italia e Grecia in primis. Così, quando dai palazzi del potere di Bruxelles si è ventilata l'ipotesi del cambiamento di una norma - c'è da dirlo - vile e contraria allo spirito dell'Unione, i media italiani già cantavano vittoria.  Oggi, invece, all'indomani dell'ultima riunione dei ministri dell'Interno Ue, pare che quel piccolo e dovuto passo avanti dell'altro giorno sia già stato miseramente abbandonato nell'angolino dei buoni propositi che mai si realizzeranno. Perché ieri, da quella riunione, alcuni Stati hanno decretato la sospensione di Schengen per il periodo più lungo previsto dal trattato: due anni.

Sospendere Schengen per salvarlo?
Ciò non significa che questa sia la fine della libera circolazione nell'Ue: perché deroghe ad essa sono appunto previste dalla norma, e sei Paesi hanno deciso di ricorrervi. Eppure, il refrain che riecheggia dal vertice di ieri, e cioè che tutto ciò che è stato fatto è stato fatto per «salvare Schengen», suona inutilmente retorico. Soprattutto, poi, se si aggiunge la solita postilla della necessità di salvare la libera circolazione per la sopravvivenza stessa dell'Europa. Perché la sospensione biennale di Schengen da parte di sei Stati, con molti altri pronti a seguirne l'esempio, è la resa fisica più evidente di come l'Ue sia conficcata in una crisi che assomiglia sempre di più a un vicolo cieco.

Chi ci guadagna e chi no
Quello che dalle stanze dei bottoni non ci raccontano, infatti, sono le conseguenze della decisione (per ora) di Danimarca, Francia, Germania, Austria, Norvegia e Svezia sugli altri Paesi dell'Unione, e soprattutto su Italia e Grecia. Perché se l'Europa del Nord comincerà a chiudersi al di là del filo spinato e - prospettiva ancora peggiore - se quella balcanica seguirà il suo esempio, saranno soprattutto Roma e Atene a farne le spese. Un dato può chiarirci le idee: nel corso del 2015, sono state più di 150.000 le persone sbarcate sulle coste italiane; ma le domande d'asilo presentate sul nostro territorio sono state molto meno numerose, circa 77.000. Ciò significa che quasi il 50% di chi è arrivato in Italia non ha voluto rimanerci, e ha proseguito il suo viaggio verso il Nord (complici, bisogna dirlo, autorità ben felici di facilitare la fuga). Se Schengen fosse stato operante, quei 150.000 migranti sarebbero dovuti rimanere nel Belpaese, magari con la promessa di future relocation che, visti i tempi di Bruxelles, non sarebbero mai arrivate. Quello che potrebbe accadere di qui a poco. Lo stesso, ovviamente, dovrà dirsi della Grecia.

Schizofrenia europea
Se osservata con attenzione, l'Europa sembra quasi schizofrenica. Qualche mese prima si decide una redistribuzione di 40.000 migranti da Italia e Grecia, qualche mese dopo la sospensione di Schengen a macchia d'olio le rimette nell'occhio del ciclone; si trascorrono mesi e mesi tra estenuanti vertici e consigli per introdurre una politica d'asilo comune, per poi mollare tutto e ripristinare i controlli alle frontiere; si promette in pompa magna la fine del sistema Dublino, ma poi, di nuovo, ci si barrica dietro al filo spinato.

Verso la fine dell'Europa
Bisogna certamente tener conto di come, da sole, Germania, Austria e Svezia portino il peso del 90% delle domande d'asilo. Di certo, però, la reintroduzione di controlli alla frontiera a danni di altri Stati non è la soluzione. L'Italia e la Grecia non possono mettere filo spinato nel Mediterraneo o nell'Egeo. La soluzione sarebbe, invece, proseguire sulla strada della messa a punto di una politica d'asilo comune, che tenga conto delle specificità dei vari Paesi e delle loro reali possibilità di accoglienza. Il primo passo sarebbe proprio la fine del regolamento di Dublino: una fine che oggi, però, appare sempre più lontana. Così come lontano sembra il giorno in cui l'Europa diventerà davvero quella che auspicavano i suoi fondatori: una terra di solidarietà reciproca, anziché il baluardo degli egoismi e dei personalismi.