Russia e Iran alleati, ma per quanto?
Gli obiettivi del Cremlino in Siria sono molto diversi da quelli del Paese degli Ayatollah che si riaffaccia sulla scena internazionale, deciso a concretizzare una sfera di influenza regionale per tanto tempo stoppata dall'isolamento e dalle sanzioni internazionali.
MOSCA - Russia e Iran si sono presentati uniti ai colloqui viennesi sulla questione siriana, ma quando durerà? L'alleanza tra Mosca e Teheran a sostegno - per ora - di Bashar al Assad peserà non poco sui negoziati entrati nel vivo oggi, con un secondo incontro tra potenze globali e regionali a cui hanno partecipato anche gli iraniani, in buona parte grazie alle insistenze russe. Ma se tra i due Paesi, complice anche l'intesa, la scorsa estate, sul nucleare iraniano (la Russia ha avuto un «grande ruolo», ha ammesso Barack Obama, ringraziando pubblicamente Vladimir Putin), ci sono tutte le ragioni per pensare che il sodalizio difficilmente potrà durare. Sotto la superficie di un'amicizia di ferro già si avvertono le prime tensioni, a cominciare dal ruolo che dovrà avere l'attuale presidente siriano una volta arrivati a un tavolo negoziale sul futuro della Siria. Ma, soprattutto, sul medio-lungo termine, è facile immaginare vere e proprie divergenze: gli obiettivi del Cremlino in Siria sono molto diversi da quelli del Paese degli Ayatollah che si riaffaccia sulla scena internazionale, deciso a concretizzare una sfera di influenza regionale per tanto tempo stoppata dall'isolamento e dalle sanzioni internazionali.
«Gli iraniani non vogliono vedere Assad uscire di scena, noi siamo pronti, aspettiamo che ci siano le condizioni minime necessarie - ha spiegato ad askanews una fonte vicina al Cremlino - certo qui in Russia nessuno vuole una partizione della Siria, ma l'obiettivo è arrivare ad un governo di unità nazionale, con i rappresentanti di tutte le forze presentabili in campo». La prospettiva di una divisione della Siria, o piuttosto della creazione di una blanda confederazione di regioni controllate dalle diverse forze in campo (Assad, sunniti, curdi e forse un'area drusa al confine meridionale con Giordania e Israele) è stata spesso evocata di fronte ai combattimenti tra fazioni, diverse milizie ed esercito lealista. L'inviato Onu Staffan de Mistura cita la partizione come «ipotesi peggiore», da scongiurare. Mosca è ufficialmente allineata a questa posizione: «inaccettabile», ha detto il presidente Putin la settimana scorsa durante la riunione finale del Valdai Club a Sochi.
L'idea russa, aggiunge chi segue da vicino il carosello di visite da Damasco e dintorni e i colloqui in corso direttamente in Siria, è di promuovere un governo alawita, non necessariamente con Assad al timone. C'è anche chi fa notare che nel più stretto entourage del leader siriano ci sono pure esponenti sunniti, e questo fornisce ulteriori spunti. Un ragionamento che pare contraddire la strenua difesa del presidente siriano messa in campo da anni dalla Russia, dove i vertici, compatti, da Putin in giù, continuano a ripetere che «spetta al popolo siriano decidere il suo futuro», non alle potenze mondiali, tanto meno agli Usa. Ovvero, dopo un periodo di transizione (a Vienna circola voce di sei mesi con Assad, poi passaggio di consegne) si dovrà andare alle urne e dietro la possibilità che la Russia «molli» il leader siriano c'è la consapevolezza che Assad non potrà mai ottenere un consenso sufficiente per un legittimo nuovo mandato post-bellico. Inoltre, come sostiene Nikolay Zlobin, capo del Centro Interessi Globali con sede a Washington, «per Putin Assad é Yanukovich in salsa siriana», l'equivalente mediorientale dell'ex presidente ucraino costretto a fuggire dal suo Paese, «é debole e Putin non ama i deboli».
Lo scenario del tramonto definitivo di Assad non piace affatto all'Iran, che tuttavia al suo esordio a Vienna si sarebbe dichiarato «flessibile» al riguardo. «Assad è il loro uomo, niente di simile è immaginabile con un esponente del suo entourage», dicono le fonti. Così, sul ruolo del rais siriano Teheran vuole prendere tempo: «non rimarrà al al potere 'per sempre'», ribadiscono i rappresentanti di Teheran. Putin, al contrario, ha fretta: «i raid possono continuare alcuni mesi, pochi. Poi bisogna passare a un processo di transizione, che sarà probabilmente lungo e dovrà cominciare a fase militare terminata».
L'obiettivo russo a brevissimo termine, che trova l'Iran d'accordo e impegnato a dare sostegno ai raid con armi e uomini, è quello di rafforzare le posizioni dell'esercito governativo siriano ridotto allo stremo dopo oltre quattro di guerra su più fronti. In modo da portare Assad e i suoi fedelissimi in posizione di minore debolezza, se non di assoluta forza, all'avvio della transizione. Per la Russia questo significherebbe assicurarsi il mantenimento della base navale di Tartous. E, non meno importante, dimostrare al mondo che le «rivoluzioni colorate» non funzionano, oggi in Siria come in Libia o Egitto, e domani magari, dopo l'Ucraina, anche in Russia.
Per l'Iran la partita siriana ha tutto un altro significato. Appena sdoganato sulla scena internazionale dallo stop al suo programma nucleare, Teheran pensa a come rafforzare il fronte sciita nella regione e ha ben motivo di temere che una sconfitta definitiva di Assad porterebbe con sé il tracollo del potere degli Hezbollah in Libano. Più in generale, l'esito della crisi siriana avrà grandi conseguenze sugli assetti mediorientali e del Golfo, dove l'Iran sta giocando una durissima partita anche nello Yemen, devastato dalla guerra tra i ribelli Houthi appoggiati dall'Iran e una coalizione di Paesi guidata dall'Arabia Saudita, capofila del mondo sunnita.
Insomma, Russia e Iran potrebbero risultare più compagni di strada che alleati di lungo corso. E qualcuno fa notare che Assad potrebbe cercare di trarre profitto dalle disparità di obiettivi dei suoi principali sponsor. «E' del tutto possibile - ammettono le fonti russe - già l'incontro a Mosca tra Putin e il presidente siriano non è andato benissimo, se la campagna militare russa avrà per lui gli effetti sperati, allora cercherà un modo per tirarsi fuori dall'angolo, anche a costo di litigare o fare litigare i suoi alleati».
(con fonte Askanews)
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