All’origine della tragedia greca: ecco com'è cominciato tutto
Sono ore fondamentali, per il destino della Grecia e dell'Europa. Ma siamo tanto assuefatti all'estenuante protrarsi delle trattative da perdere di vista la visione d'insieme. Com'è cominciata questa «tragedia greca»? E' l'euro il solo e vero colpevole?
ATENE – In queste ore le sorti della Grecia sono sempre più preoccupanti: la rottura con Bruxelles pare conclamata, Tsipras annuncia il referendum sugli accordi e il default sembra sempre più vicino. Ma siamo talmente assuefatti alle estenuanti trattative tra Atene e Bruxelles da perdere la visione d’insieme e dimenticarci di come tutto è iniziato. E’ colpa dell’euro? Qual è l’origine della «tragedia greca» e quale sarà l’epilogo?
La Grecia senza l’euro
Prima dell’euro, come ricorda Giorgio Arfaras su Limes, la Grecia era un Paese sostanzialmente povero, con una moneta debole e poco competitiva per l’arrivo di capitali esteri. Per questo, la spesa pubblica in deficit – non ripagata dalle entrate fiscali – in un’Atene senza euro sarebbe stata finanziata con obbligazioni e con l’emissione di moneta, favorendo l’inflazione. Inoltre, con dazi elevati e moneta debole, le importazioni sarebbero state sfavorite, a fronte di esportazioni di per sé molto deboli.
La Grecia nell’era dell’euro
Con la moneta unica, il debito di Atene è stato comprato in euro e, senza il rischio legato al cambio, le obbligazioni sono scese. Queste ultime sono divenute attraenti per finanziare il deficit, dato il basso costo del nuovo debito. Così, la spesa pubblica è aumentata senza bisogno di una compensazione sulle imposte. Tra il 1990 e il 2008 – annus horribilis della crisi – il Pil è salito da 100 a 165. Si può dire quindi che l’euro, fino a un certo punto, ha fatto bene alla Grecia? Non proprio. Perché la qualità dell’ascesa economica è rimasta molto modesta, in quanto non corrisposta da un aumento di produttività. Con la crisi, il Pil greco è sceso da 165 a 125, quello italiano da 130 a 115, mentre la Germania è stata l’unica a «guadagnarci»: da 130 a 135.
Situazione sottovalutata?
In Grecia, per decenni si è perso di vista il «controvalore» del debito, finito in sprechi, nei salari ai dipendenti pubblici, nelle pensioni e nelle opere pubbliche. Possibile che all’estero non ci si sia accorti di nulla? Il sistema bancario europeo era esposto verso la Grecia per 100 miliardi di euro nel 2005, saliti a 300 prima della crisi del 2008. Da allora, l’esposizione è scesa a meno di 50 miliardi. Secondo Limes, «il sistema finanziario non si è perciò mostrato lungimirante, forse perché contava di essere salvato in caso di crisi grave». Una valutazione azzardata.
Ora fare la formica non basta
Con la crisi, la Grecia è divenuta improvvisamente «formica», da «cicala» che era. Il deficit pubblico sul Pil è passato dal 15% del 2009 al 2,5% l’anno scorso: in altri Paesi europei, l’impatto politico di una tale riduzione sarebbe stato devastante. Il prezzo, però, è stato la crescita. L’economia greca, già debole prima del 2008, è giunta al punto che i suoi debiti corrispondono alla metà del Pil di un mese. A peggiorare la situazione, il sistema pensionistico, che serve a interessi diffusi, ma è decisamente sottofinanziato a causa dei bassi contributi dei lavoratori: quelli autonomi sono molto numerosi e con reddito modesto, perché soprattutto legati al turismo; quelli pubblici vanno in pensione molto prima degli altri Paesi europei. Così, la differenza tra uscite e entrate si aggira intorno ai 13 miliardi ogni anno.
Quale epilogo?
Quale può essere la via d’uscita? Pragmatismo da entrambe le parti, o, come la chiama Arfaras, «intelligenza politica». Da un lato, il debitore potrebbe «sfruttare» la pressione internazionale per giustificare agli occhi dell’elettorato un sacrosanto ma scomodo processo di modernizzazione del Paese. Dall’altro, i creditori dovrebbero concedere condizioni morbide, e non tanto per valutazioni, per così dire, «morali» (spesso tanto estranee alla finanza), ma perché, se Atene rimanesse insolvente, Francia e Germania vedrebbero svanire 150 miliardi di euro. E siamo sicuri che la cosa non andrebbe giù facilmente né agli elettori di Hollande, né tantomento a quelli della Merkel.
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