28 marzo 2024
Aggiornato 21:30
Tra Teheran e Washington

Arabia Saudita, il grande ostacolo sulla strada dell'accordo nucleare

L'assenza del re saudita al summit organizzato da Obama a Camp David è un chiaro segnale della posizione critica assunta dall'Arabia Saudita rispetto all'accordo nucleare con Teheran. Che implicherà la rimozione, o la diminuzione, delle sanzioni all'Ira.

NEW YORK (askanews) - La decisione del re dell'Arabia Saudita e di altri tre monarchi del Golfo di non partecipare al summit organizzato dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, per il 13 e 14 maggio alla Casa Bianca e a Camp David, è un colpo sferrato al tentativo di Washington di costruire un sostegno arabo all'accordo nucleare con l'Iran. Sostegno che, evidentemente, non può essere accordato dai leader sunniti, che non giudicano positivamente l'intesa con gli sciiti di Teheran.

Grandi assenti
La decisione di re Salman è stata poi seguita dal Hamad bin Isaa Al Khalifa, re del Bahrain. Saranno assenti per malattia, invece, il sultano dell'Oman, Qaboos, che sarà rappresentato dal suo vicepremier, e il presidente degli Emirati Arabi Uniti, Khalifa bin Zayed al-Nahyan, che sarà sostituito dal principe ereditario di Abu Dhabi, Mohammed bin Zayed al-Nahayan. Gli unici due monarchi dei sei Paesi che fanno parte del Consiglio di cooperazione del Golfo che saranno presenti sono gli emiri di Qatar e Kuwait.

In gioco, l'accordo nucleare
In gioco, sottolinea il Wall Street Journal, c'è un elemento fondamentale della politica estera di Obama: l'accordo sul programma nucleare iraniano, su cui da tempo sono impegnati gli Stati Uniti e altre cinque potenze mondiali. L'intesa finale dovrà essere raggiunta entro il 30 giugno e, a quanto pare, senza il sostegno delle potenze regionali. La scelta del re saudita segnala non solo che gli Stati arabi non approvano i negoziati, ma che potrebbero continuare ad agire da soli per fermare Teheran, come già dimostrato con la coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita che ha lanciato un'operazione contro i ribelli in Yemen, sostenuti dall'Iran.

Progressi insufficienti
Funzionari arabi coinvolti nell'organizzazione del vertice hanno detto che non sono stati fatti sufficienti progressi per limare le differenze con Washington su temi come l'Iran e la Siria: per questo, non vale la pena che il re vada negli Stati Uniti. «Non c'è sostanza per il summit» ha commentato un funzionario arabo al Wall Street Journal. Eppure, venerdì scorso l'amministrazione Obama aveva fatto intendere di aspettarsi la presenza del re Salman, che guida l'Arabia Saudita da gennaio.

Delegazione guidata dal principe ereditario
Il vertice è stato organizzato per rafforzare la cooperazione sulla sicurezza e il sostegno regionale alle politiche statunitensi in Medio Oriente, e rassicurare le monarchie del Golfo sull'accordo nucleare con l'Iran. In assenza del re Salman, la delegazione saudita sarà guidata dal principe ereditario Mohammed bin Nayef e comprenderà anche il figlio minore del re e attuale ministro della Difesa, Mohammed bin Salman, regista dell'offensiva militare in corso in Yemen. Stando a quanto riferito dal ministro degli Esteri saudita, il re Salman non parteciperà all'evento perchè coincide «con il previsto cessate il fuoco umanitario in Yemen e l'inaugurazione del Centro per gli aiuti umanitari intitolato al re Salman».

Arabia saudita critica
La Casa Bianca ha cercato di non creare polemiche e nuovi attriti con Riad, facendo notare la presenza del principe ereditario e del ministro della Difesa. Non è però un mistero che l'Arabia Saudita sia molto critica nei confronti degli sforzi della Casa Bianca di raggiungere un accordo sul nucleare, che allevierebbe le sanzioni contro Teheran. Riad ha inoltre fatto più volte pressioni su Washington per un approccio più aggressivo contro il presidente siriano, Bashar al-Assad, il più stretto alleato dell'Iran, e la ribellione in Yemen, sostenuta da Teheran.

Richiesta di F-35 agli Usa
Visto il timore per la crescente influenza iraniana nella regione, i leader del Golfo chiederanno agli Stati Uniti forniture di armi sofisticate, come i caccia F-35, e nuovi accordi di difesa per definire i termini e gli scenari in cui sarebbe richiesto l'intervento militare di Washington in caso di minacce da parte di Teheran. Stando a quanto riferito da un funzionario americano, uno degli obiettivi principali di questo summit dovrebbe essere comunque la creazione di una struttura di difesa comune nel Golfo, riguardante «l'antiterrorismo, la sicurezza marittima, la sicurezza informatica e i sistemi di difesa contro i missili balistici».