Piano Juncker, si al deficit spending
Il collegio dei commissari europei si riunirà domani a Strasburgo per varare la proposta sul piano di investimenti da 300 miliardi di euro in tre anni che il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, aveva promesso prima della sua elezione, e anche per approvare le bozze di bilancio degli Stati dell'Eurozona.
BRUXELLES - L'attesa svolta dell'Ue dalle politiche di austerità a quelle per la crescita, nell'azione concreta e non solo a parole, potrebbe avvenire con due decisioni che la Commissione europea annuncerà mercoledì, il 26 novembre, all'Europarlamento a Strasburgo, e il venerdì successivo a Bruxelles: la considerazione favorevole, nel calcolo del deficit, della spesa per alcuni investimenti pubblici, e la concessione di più tempo agli Stati membri (in particolare Italia e Francia) per rientrare nei parametri del Patto di Stabilità, mentre danno attuazione alle riforme strutturali delle loro economie.
Il collegio dei commissari europei si riunirà domani a Strasburgo per varare la proposta sul piano di investimenti da 300 miliardi di euro in tre anni che il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, aveva promesso prima della sua elezione, e anche per approvare le bozze di bilancio degli Stati dell'Eurozona. Il piano sarà presentato dallo stesso Juncker alla plenaria del Parlamento europeo mercoledì mattina, mentre per i pareri della Commissione sulle leggi finanziarie nazionali la discussione potrebbe continuare, se necessario, in una seconda riunione mercoledì, sempre a Strasburgo. Le decisioni sulle bozze dei bilanci degli Stati dell'Eurozona saranno illustrate dal commissario agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici, e dal vicepresidente per l'Euro e il Dialogo sociale, Valdis Dombrovskis, in una conferenza stampa a Bruxelles venerdì.
NESSUNA BOCCIATURA - Da quanto è già trapelato dopo la riunione di sabato dei capi di gabinetto dei commissari, non ci saranno bocciature di alcun bilancio nazionale, ma all'Italia, come a Francia e Belgio, verrà chiesto di ripresentarsi all'esame di Bruxelles a marzo del 2015, avendo già adottato e, almeno in parte, cominciato ad attuare le cosiddette «riforme strutturali». All'Italia saranno riconosciute le «circostanze eccezionali» (il pil negativo e il costo delle riforme) che aveva invocato il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, per giustificare la deviazione dal percorso verso il pareggio strutturale di bilancio e la mancata correzione della dinamica del debito pubblico. Si tratta, evidentemente, della prima applicazione concreta della famosa «flessibilità» che il Consiglio europeo del giugno scorso aveva chiesto di applicare all'esame dei conti pubblici dei paesi dell'eurozona, pur restando entro le regole del patto di stabilità.
Tuttavia, la vera e propria svolta non sarà su questo terreno, ma su quello degli investimenti del piano Juncker. Strumento centrale per l'attuazione del piano sarà un nuovo «veicolo finanziario», un Fondo europeo per gli investimenti, che, secondo fonti comunitarie, sarà finanziato fin dall'inizio con un apporto in capitale da parte della Bei (Banca europea per gli investimenti) e da una garanzia fornita dal bilancio dell'Ue. A questo si aggiungeranno poi i contributi volontari in conto capitale pubblici e privati.
Nel testo che sarà sottoposto domani all'approvazione dei commissari è previsto, secondo le fonti comunitarie, che nella valutazione del rispetto dei parametri del patto di stabilità "la Commissione considererà in modo favorevole i contributi in conto capitale al nuovo Fondo da parte degli Stati membri", ovvero che non ne prenderà in conto gli effetti sull'aumento del deficit.
Se tutto questo sarà confermato, per la prima volta tornerà ad avere cittadinanza nelle politiche economiche dell'Ue il concetto keynesiano di «deficit spending», ovvero il ricorso all'indebitamento per finanziare gli investimenti pubblici come strumento per stimolare l'economia in tempi di crisi. Un concetto estremamente inviso alla Germania e ai suoi alleati "rigoristi" del Nord Europa, dopo che era stato cancellato dalle politiche d'austerità, imposte a tutti gli Stati membri a partire dall'inizio della crisi greca alla fine del 2009.
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