25 aprile 2024
Aggiornato 19:30
La crisi irachena

Obama, quarto Presidente a ordinare azione militare in Iraq

Il mandato che ha dato alle forze armate è limitato, rispetto a quello dei suoi predecessori, visto che è incentrato soprattutto sul lancio di generi alimentari per le decine di migliaia di persone di minoranze religiose (tra cui molti cristiani) che stanno fuggendo dalle aree in cui avanzano le milizie dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis o Isil). Il presidente, però, ha autorizzato

WASHINGTON - Con la decisione di rispedire gli aerei da guerra americani nei cieli iracheni, il presidente Barack Obama, ieri sera, si è ritrovato esattamente dove non voleva essere. Voleva porre fine alla guerra in Iraq, quando è entrato alla Casa Bianca; è invece diventato il quarto presidente consecutivo a ordinare un'azione militare in quel «cimitero delle ambizioni americane». A scriverlo è stato il New York Times.

Il mandato che ha dato alle forze armate è limitato, rispetto a quello dei suoi predecessori, visto che è incentrato soprattutto sul lancio di generi alimentari per le decine di migliaia di persone di minoranze religiose (tra cui molti cristiani) che stanno fuggendo dalle aree in cui avanzano le milizie dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis o Isil).

Il presidente, però, ha autorizzato anche raid mirati contro gli estremisti sunniti, «se necessari».

Obama ha spiegato, durante il discorso di ieri sera, che ha portato via dall'Iraq le truppe statunitensi nel 2011 e che non ha intenzione di combattere un'altra guerra. La sua presenza nella State Dining Room, però, ha testimoniato la sconfortante realtà: gli eventi in Iraq sono sfuggiti - secondo il Times - alle previsioni e agli obiettivi del presidente.

«So che molti di voi sono giustamente preoccupati per qualsiasi azione militare americana in Iraq, anche per raid aerei limitati come questi» ha detto Obama. «Lo capisco. Mi sono candidato alla presidenza anche per porre fine alla guerra in Iraq e accogliere le nostre truppe a casa, ed è quello che abbiamo fatto. Come comandante in capo, non permetterò che gli Stati Uniti siano trascinati in un'altra guerra in Iraq».

Obama ha passato mesi a opporsi a ogni possibile intervento. Anche dopo la caduta di Falluja e altre zone nell'Ovest del Paese nelle mani dell'Isil all'inizio dell'anno, e la marcia inarrestabile dei miliziani verso Baghdad, Obama non ha espresso il minimo entusiasmo per un'azione militare americana. A giugno, ha inviato 300 soldati delle forze speciali non per combattere, ma per valutare la situazione e aiutare i soldati locali, respingendo l'idea, sostenuta anche da alcuni funzionari dell'amministrazione, di usare la forza aerea per colpire i ribelli.

Dopo le nuove vittorie ottenute dall'Isil la scorsa settimana e mercoledì notte contro i curdi, fedeli alleati degli americani, soprattutto se paragonati al governo di Baghdad del primo ministro sciita Nuri Kamal al Maliki, e la fuga degli Yazidi e di altre minoranze religiose, intrappolati sul monte Sinjar, è stato chiaro anche a Obama che gli Stati Uniti non potevano continuare a ignorare la situazione.

Negli Stati Uniti, c'è chi crede che l'attuale situazione sia frutto anche della decisione di Obama di non aver voluto nemmeno provare a lasciare un'esigua forza in Iraq dopo il ritiro del 2011. Oltre al fatto che, in questo periodo, non è stato in grado di riconoscere la crescente minaccia, per l'Iraq, della vicina guerra civile in Siria. Il virtuale califfato islamico creato tra Iraq e Siria dall'Isil pone una minaccia moto più seria di quella semplicemente umanitaria.