24 aprile 2024
Aggiornato 10:30
Imprese straniere

Crisi, Confesercenti: in aumento le imprese straniere in Italia

Secondo le rilevazioni dell'Osservatorio Confesercenti, ad agosto 2016, le imprese straniere straniere nel settore sono ormai oltre 160mila. Nel tessile sono 9 su 100 e aumentano soprattutto le frutterie non italiane

ROMA - Continua a crescere l'imprenditoria straniera nel commercio. Secondo le rilevazioni dell'Osservatorio Confesercenti, ad agosto 2016 le imprese straniere nel settore sono ormai oltre 160mila, il 18,5% del totale con un aumento di circa 7mila attività rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Ma il boom di aperture degli imprenditori stranieri non basta a fermare la desertificazione delle attività commerciali: nello stesso periodo, infatti, il settore perde complessivamente quasi 2mila imprese, con un vero e proprio crollo dei negozi: il commercio in sede fissa registra infatti la sparizione di oltre 5mila attività.

Nel tessile 9 imprese su 100 sono straniere
La crescita di imprese a titolarità estera è infatti concentrata soprattutto nel commercio ambulante, dove gli imprenditori non italiani sono oramai diventati la maggioranza: ad agosto 2016 le attività guidate da stranieri sono 103mila, il 53,1% del totale ed il 4,9% in più rispetto allo scorso anno. Particolarmente alta l'incidenza degli imprenditori stranieri tra i banchi dedicati al commercio di tessile e moda (66%). Anche nel commercio al dettaglio in sede fissa, gli stranieri preferiscono moda e tessile: in questa tipologia, infatti, circa 9 imprese su 100 sono straniere, per un totale di oltre 11.500 attività.

Aumentano soprattutto le frutterie non italiane
A crescere più velocemente, però, sono le frutterie non italiane, in aumento dell'11,8% nell'ultimo anno. Si registrano aumenti consistenti anche per le imprese straniere attive nel commercio di apparecchiature informatiche e per le telecomunicazioni (+11,2%), nei negozi di ferramenta e costruzioni (+6,4%), nelle macellerie (+6,8%) e nell'alimentare in generale (+6,3%). In diminuzione, invece, i negozi di articoli sportivi (-2,1%) e di giochi e giocattoli (-0,3%). Rimane sotto i livelli medi, invece, il dinamismo dell'imprenditoria straniera nel commercio al di fuori dei banchi e dei negozi.

Cresce di più l'occupazione straniera
In questo comparto, che include la vendita porta a porta, quella via posta e l'eCommerce, la presenza di imprese non italiane è consistente - quasi una su tre - ma la crescita nell'ultimo anno è stata praticamente nulla (solo 95 attività in più), contro un aumento complessivo di 1.300 attività (+3,5%). Anche dal punto di vista dell'occupazione le imprese straniere si confermano più dinamiche della media: secondo le stime dell'Osservatorio Confesercenti, ad agosto 2016 il settore del commercio registra oltre 1.752.488 addetti, circa 36mila in più rispetto allo stesso mese dell'anno precedente. Ma anche in questo caso gli addetti delle imprese non italiane crescono ad un ritmo circa sette volte superiore (+8,7%) a quello della media del settore (+1,7%).

Gravi segnali di irregolarità endemica
«Il dinamismo dell'imprenditoria non italiana nel commercio è un fatto positivo, che conferma la vocazione multiculturale del settore. Il trend di crescita, però, nasconde notevoli criticità - spiega Mauro Bussoni, segretario generale di Confesercenti -. Le imprese guidate da titolari non italiani hanno un ciclo di vita notevolmente più breve della media del settore, con oltre un terzo delle attività che chiude entro i due anni dall'apertura».Anche perché investono poco, come dimostra la concentrazione di stranieri in attività marginali, come nel caso delle frutterie, o comunque destrutturate, come il comparto del commercio su aree pubbliche. L'imprenditoria straniera nel commercio ambulante, poi, presenta anche gravi segnali di irregolarità. Dall'analisi delle banche dati Inps, emerge che quasi 100mila imprese di commercio su aree pubbliche, di cui l'83% - più di 70mila - a titolarità straniera, «non hanno mai versato un contributo negli ultimi due anni. Una quota elevata, dietro la quale temiamo si nasconda un'irregolarità endemica, sia contributiva che fiscale», conclude Bussoni.