29 marzo 2024
Aggiornato 00:00
Emessi con rendimenti inferiori al costo del capitale

«Bond subordinati non ripagavano adeguatamente il rischio»

Il bail-in all'italiana applicato a Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, ha tosato gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati dei quattro istituti di credito, ma secondo il commissario europeo ai servizi finanziari, Jonathan Hill :«e banche in questione hanno venduto prodotti inappropriati a persone che forse non sapevano cosa compravano».

ROMA - «In caso di insolvenza dell'emittente, l'obbligazione sarà rimborsata solo dopo che saranno stati soddisfatti tutti gli altri crediti non ugualmente subordinati». Poche parole, scritte nei prospetti delle obbligazioni subordinate per ricordare a chi le compra che il rischio potenziale è quello di perdere l'intero capitale investito come per gli azionisti.

Il bail-in all'italiana, nato con il decreto del governo dello scorso 23 novembre e applicato a Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti, ha tosato gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati dei quattro istituti di credito. Certo se fosse stato applicato in bail-in all'europea, in vigore dal gennaio 2016, la tosatura avrebbe riguardato anche i depositanti con giacenze superiori a 100mila euro e, a scalare, anche i portatori di bond ordinari.

Sono stati azzerati bond subordinati per circa 770 milioni di euro, di cui 340 milioni in capo a circa 10mila piccoli risparmiatori, il resto in capo agli investitori istituzionali, tra i quali spiccano anche le Fondazioni bancarie dei territori di riferimento delle 4 banche. L'azzeramento delle azioni ha invece interessato circa 105mila azionisti, tra cui molti piccoli risparmiatori e ancora una volta le Fondazioni bancarie dei territori di riferimento delle quattro banche.

Il tema caldo riguarda i bond subordinati, in quanto l'azzeramento del valore delle azioni, almeno dal punto di vista mediatico, appare meno rilevante poiché con le azioni, si sa, non occorre leggere un prospetto, si può perdere tutto. Meno noto, seppur riportato nei prospetti, che si potesse perdere tutto anche con un certo tipo di bond.

Le storie di denaro perduto raccontano di piccoli risparmiatori che avevano messo in queste obbligazioni il frutto di una vita, persino un suicidio a Civitavecchia. Così la prima domanda che nasce da questa vicenda è se si potessero salvare almeno i bond-people.

E proprio su questo tema si è aperto subito un confronto a distanza tra Banca d'Italia e la Ue. Ieri, nel corso della audizione presso la Commissione finanze della Camera, il responsabile della Vigilanza di Bankitalia, Carmelo Barbagallo, ha ricordato che i bond-people non sarebbero stati sacrificati se la Ue non si fosse opposta all'intervento del Fondo Interbancario di tutela dei depositi. La Commissione ha replicato, come peraltro evidenziato anche da Palazzo Koch, che sul tema esisteva già una comunicazione di Bruxelles.

Invece, il commissario europeo ai servizi finanziari, Jonathan Hill, ha affondato il colpo dicendo che «le banche in questione hanno venduto prodotti inappropriati a persone che forse non sapevano cosa compravano».

E qui si aprirà il capitolo legale, le associazioni di risparmiatori e consumatori annunciano esposti e denunce, ma la partita si giocherà su un punto molto semplice: bisognerà accertare se il profilo di rischio del cliente della banca, come viene espresso nella direttiva Mifid, comprendesse la possibilità di investire nei bond subordinati. Insomma, se il processo di collocamento commerciale del prodotto è in linea con le norme che proteggono il risparmiatore, di cui fanno parte anche i prospetti informativi sui bond, che bisognerebbe comunque leggere.

La vicenda dei bond subordinati delle quattro banche salvate però va ben oltre il profilo regolamentare: non c'è solo la domanda sulla corretta vendita di un prodotto finanziario, quella più importante riguarda se il rendimento offerto dai questi bond remunerasse adeguatamente il rischio.

I bond subordinati sono dei prestiti che rafforzano il capitale di vigilanza delle banche ma, come le azioni, sono esposti al rischio di perdita dell'intero capitale e alla facoltà di non ricevere gli interessi nel caso la banca sia in perdita, proprio come le azioni che quando i conti sono in rosso non distribuiscono dividendi. Dunque, al pari delle azioni dovrebbero essere collocate con rendimenti che riflettano il costo del capitale delle banca emittente, cioè il rendimento atteso.

Il costo del capitale è semplice da trovare basta sommare al rendimento su un investimento privo di rischio, tipo un titolo di Stato, quello richiesto per investire in uno strumento più rischioso.

Recentemente questo approccio lo si è visto nel caso dell'emissione del bond subordinato della Banca Popolare di Vicenza che ha dovuto riconoscere a chi lo ha comprato un rendimento dell'11%. D'altra parte il costo del capitale per le banche italiane oscilla da tempo tra l'11% e il 12%. (dati Bce).

Se invece prendiamo uno dei bond subordinati emessi da Banca Etruria nel 2013, ora azzerato, il prezzo di emissione era di 100, alla pari, con un cedola annua lorda del 3,50%, dunque con un rendimento a scadenza di poco superiore al 3,50% ma lontanissimo dal costo del capitale prevalente nel 2013 che, per Banca Etruria, era sicuramente a due cifre. Anche le altre subordinate sono state collocate con rendimenti che non remuneravano il rischio.

Nel caso delle 4 banche, il massiccio ricorso all'emissione di queste obbligazioni, computabili nel capitale di vigilanza, evitava gli aumenti di capitale in azioni, operazione che avrebbe diluito soprattutto gli azionisti di controllo, in primis le Fondazioni bancarie del territorio di riferimento, ora anche loro in ambasce, a causa dell'azzeramento del valore della banche da loro controllate.

Insomma, se si va in banca e viene proposto un subordinato, niente da prendere in considerazione se non viene offerto almeno l'11-12% all'anno. Se poi dopo 365 giorni la banca dovesse andare in bail-in, almeno un anno lo si è vissuto vissuto da leoni e non da sherpa per altri soggetti.