«La Troika pecca di superbia»
Il famoso economista non ha torto nel sollevare qualche perplessità nei confronti dei diktat della troika europea. Ecco perché
ROMA – Il FMI ha riconosciuto, in uno studio recentissimo pubblicato il 2 giugno scorso, i limiti delle politiche di austerità. Si tratta di una grande rivincita per gli economisti cosiddetti «eterodossi», giudicati finora come gli eretici della teoria economica. Il Financial Times parla di «un impressionante rovesciamento dell’ortodossia negli ultimi decenni», e uno dei protagonisti di questa rivoluzione copernicana nel tempio della macroeconomia si chiama James Kennet Galbraith. Leggete cosa ne pensa della crisi greca.
Chi è James Kennet Galbraith
James è figlio del famoso economista e diplomatico John Kennet Galbraith. Ha fatto parte del Congresso degli Stati Uniti d’America ed è presidente degli «Economists for Peace and Security», un’associazione internazionale di economisti che si preoccupa di cercare soluzioni concrete ai problemi che affliggono l’economia e la società. James Kennet Galbraith ritiene che il ritorno della politica economica keynesiana sarebbe il modo migliore per uscire dalla crisi internazionale. Attualmente insegna discipline economiche all’Università Lyndon Johnson del Texas, la stessa nella quale insegnava anche Yanis Varoufakis. Ha partecipato a diverse riunioni dell’Eurogruppo e sulla crisi greca ha un’opinione piuttosto chiara.
I media hanno raccontato una verità parziale
Nell’articolo di Thomas Fazi pubblicato sul sito di sbilanciamoci.info, il professor Galbraith ha rilasciato un’intervista, dichiarando che: «A differenza di quanto sostenuto dalle istituzioni europee e da gran parte dei media, il governo greco ha fatto molto per venire incontro alle posizioni dei creditori, oltrepassando molte delle proprie «linee rosse». Purtroppo, invece, in questi mesi i creditori non hanno ammorbidito la loro posizione di una virgola. La loro ultima proposta ricalca per filo e per segno i precedenti memoranda della troika. Questo è inaccettabile e irresponsabile, considerando che l’attuale programma si è dimostrato un fallimento sotto ogni punto di vista. Cinque anni fa, il Fondo monetario internazionale aveva previsto che il Pil greco si sarebbe contratto del 5% a causa delle misure di austerità. Ad oggi si è ridotto del 25%. Questo dovrebbe bastare a decretare il fallimento del programma, e la necessità di un suo superamento radicale».
Syriza spaventa la Troika
Galbraith non si ferma alle logiche economiche, ma azzarda anche una critica sulla gestione politica della crisi: «E’ indubbio che la Grecia si sia ritrovata completamente isolata all’interno dell’Eurogruppo. Ma è interessante notare che i governi più ostili si sono rivelati proprio gli altri governi della periferia. Ed è facile capire perché: sono tutti governi che hanno implementato pedissequamente i diktat della troika, con conseguenze spesso devastanti. È dunque normale che non vogliano dare credito ad un governo che si batte proprio contro quelle politiche, e si propone di mostrare che un’alternativa è possibile. Paradossalmente, le principali dimostrazioni di solidarietà sono arrivate da paesi non europei, tra cui gli Stati Uniti, che per ovvi motivi spingono affinché la Grecia rimanga nell’orbita d’influenza europea. Non è un caso che Varoufakis sia stato l’unico ministro delle Finanze ad incontrare il presidente Usa Barack Obama a margine dei vertici dell’Fmi e della Banca mondiale.»
In Ue la legge non è uguale per tutti
James Kennet Galbraith non ha torto nel sollevare qualche perplessità nei confronti dei diktat della troika europea. Vale la pena ricordare che la Germania da ben 13 anni contravviene alla norma che vieta saldi attivi nella bilancia dei pagamenti superiori al 6%. La violazione di questa regola del Trattato di Maastricht ha permesso alla locomotiva tedesca di diventare l’economia più forte del continente, cui le esportazioni hanno fatto da volano. Perché allora – come nel caso della gestione dell’emergenza migranti che sta dividendo l’Europa – alcune regole comunitarie dovrebbero continuare a valere per alcuni paesi e non per altri, che traggono molteplici vantaggi da una disarmonica ripartizione dei diritti e dei doveri nell’Unione Europea?
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