8 maggio 2024
Aggiornato 14:30
Con il calo del prezzo, diminuiranno gli investimenti in rinnovabili?

Mini-petrolio: «concorrenza sleale» verso le energie rinnovabili?

Con il barile così basso, c'è ancora qualcuno disposto a investire a caro prezzo nelle energie rinnovabili? Secondo il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini, non c'è ragione di preoccuparsi: le fonti rinnovabili continuano a convenire sotto molti aspetti rispetto al petrolio, e gli investimenti non diminuiranno, almeno in Europa. Più a rischio, però, i Paesi produttori di oro nero

ROMA – Un risvolto del drammatico crollo del barile di cui ben poco si è parlato riguarda lo sviluppo delle energie alternative e rinnovabili. Un conto, infatti, per chi produce fonti energetiche diverse da quelle derivate dall’oro nero, è concorrere con un prezzo del petrolio a 100/120 dollari; tutt’altro, vedersela con il barile a 45 dollari. Bisogna tenere presente, infatti, che le aziende che sviluppano nel campo delle energie alternative e rinnovabili riescono a sostenersi principalmente grazie all’aiuto dei governi e delle banche. Sembrerebbe dunque evidente come il crollo del prezzo del petrolio impatti negativamente sui Paesi produttori e investitori. Ci si chiede, infatti, chi sarà più disposto a investire grandi somme di denaro, con un mercato del petrolio estremamente conveniente.

LEGAMBIENTE: IL SOLE E IL VENTO SONO UNA CERTEZZA, IL PETROLIO NO - «La previsione è che, rispetto al passato, non si fermeranno gli investimenti sulle energie rinnovabili», spiega il vicepresidente di Legambiente Edoardo Zanchini; «e questo per due ragioni: la prima è che le fonti rinnovabili oggi ci convengono, soprattutto in un Paese come l’Italia che importa tutto; la seconda ragione per cui non si sposteranno gli investimenti è che il sole, il vento, ma anche il risparmio energetico sono delle certezze, che non hanno oscillazioni per via delle guerre o per le scelte dell’Opec, e sono gratis, oltretutto», dichiara. «Non penso che accadrà come negli anni ’70, quando il calo del prezzo del petrolio provocò una crisi di investimento nelle rinnovabili, anche perchè, oggi, i cambiamenti climatici sono una realtà con cui dobbiamo fare i conti», spiega. «Inoltre, il prezzo del petrolio potrebbe avere, nei prossimi mesi, delle oscillazioni legate anche ad altre ragioni, che oggi non conosciamo, come sempre è avvenuto: è quindi molto più conveniente investire sulle rinnovabili che sulle perforazioni petrolifere», conclude. E sulla possibilità che sul crollo dell’oro nero abbia inciso anche uno spostamento della domanda sulle fonti rinnovabili, Zanchini conferma che «questo è avvenuto sicuramente in Europa, e sta avvenendo anche in altre parti del mondo; non c’è dubbio sul fatto che ci sia un cambiamento nella domanda di energia, sia legata a investimenti in efficienza energetica che nello sviluppo delle rinnovabili».

MERCATO DELL’ENERGIA IN CONTINUO CAMBIAMENTO - Sulla stessa linea lo studio condotto dagli analisti di Bloomberg New Energy Finance, secondo cui non ci si deve tanto domandare in che modo il calo dei prezzi del petrolio avrà un impatto sulla transizione verso le energie pulite, ma, piuttosto, in che modo la transizione verso le energie pulite sta influenzando il prezzo del petrolio. Per la società di consulenza, infatti, il crollo del barile dipenderebbe soprattutto da una domanda che non cresce più come ci si aspettava in passato, anche per effetto della transizione energetica verso fonti alternative. Secondo il presidente di Bloomberg New Energy Finance, «La visione ortodossa della crescita illimitata della domanda di greggio semplicemente non regge in un mondo di motori super efficienti, veicoli elettrici, gravi problemi di inquinamento atmosferico e preoccupazioni per il clima». Pertanto, oltre ai tanto temuti produttori di shale oil, potrebbe aver inciso, almeno in parte, sull’attuale situazione l’interesse per nuove forme di energia rinnovabile, più sostenibili a livello ambientale e dalla disponibilità illimitata.

POCHE LE CONSEGUENZE DEL MINI-PETROLIO SULLE RINNOVABILI - D’altra parte, per il gruppo di analisi internazionali, il crollo del barile avrà un impatto molto contenuto sullo sviluppo delle rinnovabili a livello mondiale. I 266 miliardi di dollari l'anno investiti in fonti pulite in media negli ultimi 5 anni sono stati destinati in gran parte a impianti che non sono in concorrenza diretta con il petrolio. Inoltre, eolico e fotovoltaico sono sempre più competitivi e continuano a crescere, nonostante i vari tagli agli incentivi. Certamente, però, alcuni settori sarebbero più danneggiati di altri: ad esempio, quello delle auto elettriche. Negli Usa, ad esempio, la quota delle auto elettriche (al momento inferiore all'1%) raggiungerebbe al 2020 il 9% con la benzina a 3,34 $ per gallone, ma non supererebbe il 6% nel caso di un prezzo alla pompa di 2,09 $ al gallone. Anche i biocarburanti, diretti competitor del petrolio, potrebbero esserne danneggiati.

A RIMETTERCI IN RINNOVABILI PIÙ I PAESI PRODUTTORI - In generale, però, secondo lo studio sopracitato lo sviluppo delle rinnovabili nell'Ue è generalmente guidato da obiettivi specifici e iniziative politiche, e il gas più a buon mercato, combinato con la crescita del prezzo della CO2 (+44% nel 2014), non farà altro che riportare la quota del carbone nel mix elettrico al livello di qualche anno fa. I Paesi dove è più probabile che il crollo del barile impatti negativamente sulle rinnovabili, secondo Bloomberg, sono quelli produttori di petrolio e nell'off-grid. Di certo, sarà rallentata la sostituzione con le fonti pulite dei generatori diesel, che comunque risultano antieconomici anche con un petrolio sui 60$/b. Potrebbero poi essere messi in dubbio programmi di investimento in elettricità pulita dei paesi petroliferi, come quello dell'Arabia Saudita, che sembrerebbe puntare a realizzare 41 GW di solare entro il 2035. Naturalmente, la maggiore o minore dirompenza degli effetti dipenderà dal periodo di tempo in cui l’oro nero persisterà a un prezzo così basso. E lo shock della domanda in corso, guidato dal rallentamento della Cina e dalla riduzione della dipendenza degli Usa dalle importazioni, fa pensare molti analisti che potrebbero volerci anni. Insomma: per dare una valutazione più precisa, bisognerà pazientare.