Paolo Beltramo ci presenta il GP di Valencia
Lo storico inviato del Motomondiale debutta sulle nostre pagine, raccontandoci cosa si aspetta dall'ultima e decisiva gara della MotoGP, che lui stesso seguirà per il DiariodelWeb.it in diretta dai box
MILANO – Ed ecco qua il mio esordio sul DiariodelWeb.it. Quando mi hanno proposto di collaborare ne sono stato entusiasta. La prima cosa che abbiamo deciso è stata quella di andare a Valencia per assistere a quello che avrebbe dovuto essere il «Gran Finale», la scena madre del duello dei duelli, del Mondiale MotoGP 2015 tra Rossi e Lorenzo. Eravamo gasati, felici. Pure a me piaceva molto l’idea di tornare in pista, vivere di nuovo quell’emozione unica, cercare di trasmettere a chi non può esserci almeno una parte di quello che succede, di quello che c’è nell’aria… Raccontare le corse di moto è stata la mia vita per più di 36 anni: mi piace, adoro le corse, l’anima che racchiudono, la storia, le persone, i luoghi, i mezzi, i piloti… Le corse fin da sempre, fin da subito hanno regalato a piene mani infinite gioie e moltissimi dolori, hanno creato miti, eroi, leggende. Sono diventate un patrimonio dell’umanità. Uno dei tanti modi attraverso i quali l’uomo si sfida, sogna, prova emozioni, si muove, rincorre il mito della velocità, gode e soffre.
Non per, ma contro
Insomma, la gara di Valencia sembrava essere un’altra bella tappa di questa corsa lunghissima, un altro diamante di una collana. Piloti grandissimi, talento, rivalità, equilibrio. C’erano tutti i presupposti perché la sfida «Rossi vs Lorenzo» fosse una delle più belle di sempre. Invece non lo è più. Irrimediabilmente rovinata da rancori, odi, rivalità che travalicano lo sport e anche le sue asperità più dure. Si è intromesso Marquez con le sue gare contro, non per. Sportellate, cattiverie, anche esasperate come quella di Capirossi col compagno Harada in Argentina nel 1998, quando lo buttò a terra e vinse il Mondiale all’ultima curva dell’ultimo giro, ci possono stare, proprio perché fatte «per»: per vincere, per battere l’avversario. All'ultimo giro, come Rossi/Gibernau a Jerez; o in lotta diretta per il titolo, come Rossi/Stoner a Laguna Seca 2008. Gli esempi sono molti. Moltissimi.
Il vizietto di Marquez
Marquez, però, si è convinto che Rossi in Argentina quest’anno lo abbia volontariamente fatto cadere al penultimo giro mentre lottavano per vincere. Poi lo ha accusato di scorrettezza per l’ultimo giro di Assen quando alla curva conclusiva ci fu il contatto, il dritto di Rossi a tagliare la chicane e la fine di un’amicizia finta come una bambola gonfiabile. Non si ricorda del sorpasso fatto a Rossi a Laguna Seca, fotocopia di quello Rossi/Stoner con sua uscita di pista e taglio. Rossi non si può considerare un santo, ma Marquez ha sempre corso, fin dai tempi della 125, con molte rudezze, anche inutili. Alla fine c’è l’ombra della caduta malese, la gara di Marquez contro Rossi, le accuse, le cattiverie, un clima diverso, brutto, nel quale si è buttato a capofitto Jorge Lorenzo, che poteva starsene fuori e prendersi il vantaggio della partenza dall’ultima fila di Rossi nel GP decisivo, con signorilità. Invece no, anche lui a sparare ad altezza d’uomo.
Questo non è il motociclismo
Nei giorni successivi si sono poi aggiunti comunicati, dichiarazioni, prese di posizione, attenzione mediatica elevatissima, provocazioni come quella delle Iene che volevano consegnare la «Coppa M...», cioè un grosso fallo, a casa Marquez, e conseguente bisticcio con telecamera rotta. Benzina sul fuoco, solchi sempre più profondi tra lo sport e questa roba qua. Insomma Rossi, Lorenzo e Marquez sono il passato, il presente e (gli ultimi due) il futuro della MotoGP: sono fenomeni, leggende, hanno milioni di fan, sono idoli per un’infinità di bambini. Ma non sono «il motociclismo». Non possono permettersi di appropriarsene in modo così distruttivo, cattivo, egoista. Le corse c’erano prima di loro, ci saranno ancora dopo. Erano belle, bellissime, terribili, spero che continuino ad esserlo anche dopo questa Valencia avvelenata. Un bel passo indietro, un esame di coscienza, una presa di responsabilità, una stretta di mano e ripartiamo da dove dovremmo essere: una lotta, non una guerra. Ripartiamo da ciò che anche loro amano, altrimenti non sarebbero dove sono, a dare quel gas lì. Sì: ripartiamo dallo sport. Da questo piccolo, meraviglioso patrimonio comune che si chiama motociclismo.
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