Il braccio destro di Vale: «Il decimo Mondiale? Io ci credo»
Alberto Tebaldi, storico collaboratore del Dottore e oggi a capo della sua Academy, fa le carte alla stagione che aspetta Rossi dopo questo inizio scoppiettante: «Glielo dico sempre, lui è l'unico che riesce ad avverare i sogni»
TAVULLIA – Alberto Tebaldi è uno dei più stretti collaboratori di Valentino Rossi. Da sempre vicino al Dottore, cura la sua immagine come amministratore delegato dell'azienda VR46, è stato team manager della Sky Racing ed ora segue i giovani pupilli del campionissimo nella Academy insieme all'amico Alessio Salucci. E forse sta proprio nella sua attività con i giovani il cuore della seconda vita agonistica di Valentino. «Da quando è circondato da questi ragazzini è ringiovanito di dieci anni», confessa «Albi» al DiariodelWeb.it. A lui abbiamo chiesto il segreto dell'immortalità sportiva del nove volte iridato. E se questo inizio di stagione scoppiettante possa davvero portarlo al sogno del decimo Mondiale.
Alberto, oggi ti occupi dell'Academy di Valentino. Come funziona?
L'Academy è nata spontaneamente. Avevamo già iniziato a dare una mano ai ragazzi che ci erano venuti a cercare e con cui siamo diventati amici. Solo in un secondo momento Vale ha deciso di creare una struttura vera e propria. L'obiettivo è quello di dare loro un'opportunità di buon livello, che nel nostro mondo non è semplice da ottenere. Dopo il primo anno pensiamo di essere riusciti ad assicurargliela, collocandoli in squadre competitive. Se lo meritano, non solo per il loro potenziale sportivo, ma anche per le loro doti umane. Nel mondo di Vale, questa filosofia è importante.
Insomma, insegnate loro a diventare Valentino Rossi?
Insegnare è una parola grossa. Se questo metodo funziona lo scopriremo in futuro. Noi applichiamo su questi ragazzi ciò che abbiamo imparato, avendo la fortuna di seguire dall'inizio tutto il percorso di Valentino. Molti lo vedono come il ragazzo scanzonato, ma tecnicamente è uno dei professionisti più attenti di tutto il mondo dello sport. La sua è una vera scienza della preparazione, non solo nell'attività fisica, ma nell'allenamento in moto, nella mentalità.
Altrimenti, non avrebbe retto fino a 36 anni.
Bisogna amare questo sport, ed è questo che sta insegnando ai giovani dell'Academy: rendendo gli allenamenti, in palestra, sulla pista da cross o sul circuito di Misano, un gioco. Che però ha sempre come base la competizione.
Non per niente Valentino sembra rinato da quando ha ritrovato la battaglia, grazie alla rivalità con Marquez.
Vale si nutre di competizione. Marquez gli ha ridato energia e uno stimolo in più. Ma anche lavorare con i ragazzi dell'Academy, allenarsi con questa banda di matti di 16-17 anni, lo ha ringiovanito di dieci anni.
Per questo ha detto ieri, in conferenza stampa, di voler continuare a correre anche dopo la scadenza del contratto nel 2016?
Non saprei. Come dice sempre lui, dipenderà dal suo livello di competitività. Vale è ad un punto della sua carriera in cui corre solo più per il gusto di farlo. E il gusto c'è se sarà competitivo, altrimenti si fermerà. Al momento, lo è molto...
Ma perché è così difficile in Italia trovare il nuovo Valentino?
Rispetto ad altri paesi, manca la cultura di far conoscere questo sport ai ragazzini, fin dalla scuola. E, soprattutto, mancano i soldi. Correre per un'intera stagione è molto costoso. In passato tante aziende erano disposte ad investire, perché generavano utile, oggi non più. Attaccare un adesivo sulla carena di una moto in un campionato italiano non crea un ritorno finanziario, se alle spalle non c'è un grande progetto come il nostro. Non vorrei che il nostro sport, come l'automobilismo, rimanesse riservato all'elite. Che ad arrivare fosse solo chi ha le risorse, piuttosto che il manico.
Hai risposto con il cuore fino ad ora, fallo anche a quest'ultima domanda. Ma questo decimo Mondiale arriverà o no?
Ti rispondo così. Ricordo il primo test invernale a Barcellona, quando ancora c'era in palio la Bmw per il miglior tempo, e lui fece la pole. O la prima gara a Welkom. O il Mondiale 2008, quando lui chiese alla Yamaha le Bridgestone: ci mise la faccia per dimostrare che erano le gomme, non i dieci km/h in più di velocità di Stoner, ad avergli fatto perdere il campionato l'anno prima. E potrei continuare ad elencarti tante gare incredibili. Per questo gli dico sempre che lui è l'unica persona in grado di avverare i sogni. E io, in questo ultimo sogno, ci credo.
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