Di Maio all'assalto del ministro Tria: «Trovi i soldi per gli italiani in crisi»
Il titolare dell'Economia è concentrato sulla tenuta dei conti, il M5s chiede più coraggio per rispettare le promesse elettorali. I parlamentari preparano una petizione

ROMA – Acque agitate all'interno del governo dopo il vertice di ieri sera: Luigi Di Maio aumenta il pressing sul ministro dell'Economia Giovanni Tria. Prima di volare per la sua missione in Cina, il vicepremier ha affondato: «Nessuno ha chiesto le dimissioni di Tria ma un ministro deve trovare le risorse per gli italiani che sono in difficoltà». Di Maio ribadisce che «gli italiani in difficoltà non possono attendere. Lo Stato non li può lasciare soli e un ministro serio deve trovare le risorse».
M5s fibrilla più della Lega
Parole che trovano una sponda solo parziale da parte della Lega. «Il ministro Tria non corre alcun rischio. L'invito che farei a tutti i colleghi di governo è quello di parlare il meno possibile e darsi da fare. Il momento è delicato ed è vero che conta lo zero virgola, il rispetto dei parametri nella stesura della manovra, ma è anche vero che non possiamo impiccarci alle percentuali: i mercati guardano anche alla serietà delle proposte, oltre che alla tenuta dei conti – così il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, in un'intervista a La Repubblica – Il ministro ha garantito che rispetterà l'impegno per la riduzione del debito ed è una garanzia importante. Ma sia noi che i nostri alleati abbiamo avanzato le nostre proposte con senso di responsabilità. Al ministro Tria si chiede solo di non impiccarci allo zero virgola, di mostrare un minimo di disponibilità. Anche perché con la pace fiscale recupereremo parecchie risorse utili a ridurre il debito». Ma nel Movimento 5 stelle il malumore per il rischio di non riuscire a mantenere le promesse elettorali è decisamente più alto: «Un miliardo, ha detto che ci dava solo un miliardo in più rispetto al reddito di inclusione. Inaccettabile», secondo La Stampa sarebbero le parole pronunciate da Di Maio a ministri e sottosegretari del M5s in un ristorante subito dopo l'infruttuoso vertice sulla manovra. Spinti da una valanga di email e di lamentele da parte degli elettori, i parlamentari pentastellati starebbero addirittura studiando una raccolta firme su un documento da inviare al ministero dell'Economia e a tutto il governo.
Le ipotesi sul tavolo
Il cantiere della manovra è dunque ancora fermo ai titoli dei vari capitoli di interventi. La riunione di ieri a palazzo Chigi ha confermato che nella prossima legge di Bilancio ci saranno le architravi del contratto di governo: flat tax sulle partite Iva, reddito di cittadinanza e superamento della legge Fornero. Il nodo sono le coperture: servono risorse ingenti, anche ipotizzando un avvio graduale delle misure. Il finanziamento in deficit tuttavia potrà essere limitato, al massimo sufficiente ad assicurare il disinnesco delle clausole di salvaguardia sull'Iva. Le fibrillazioni riguardano dove porre l'asticella del deficit per l'anno prossimo. Il ministro dell'Economia sembra deciso a non andare oltre l'1,6-1,7%, sia per mantenere l'impegno sulla riduzione del debito che, soprattutto, per non provocare la reazione dei mercati finanziari. Al contrario, Di Maio secondo il Corriere punterebbe a portare il deficit addirittura intorno al 2,5%. Tria, dal canto suo, è stato molto chiaro sugli obiettivi di finanza pubblica quando è salito sul palco del forum di Cernobbio a inizio settembre: «È inutile cercare due o tre miliardi in più sul deficit se ne perdiamo tre o quattro dal lato dei tassi di interesse. Su questo c'è la piena consapevolezza nel governo. Ma soprattutto questo obiettivo di bilancio è stato ribadito dal momento della formazione del governo, perché la riduzione del rapporto debito/Pil è stata dichiarata come obiettivo dal presidente del Consiglio ed è stato ribadito da me in Parlamento quando ha approvato il documento tendenziale del Def». Con Tria fermo sui vincoli di bilancio, il nodo delle coperture è squisitamente politico, come dimostra il botta e risposta tra i due vicepremier sulla cosiddetta pace fiscale che dovrebbe garantire circa 3,5 miliardi di entrate, seppur una tantum. La nuova spending review rilanciata ieri dal vertice di governo difficilmente potrebbe superare i 5 miliardi di euro. Le risorse allora potrebbero venire da maggiori entrate e/o andando a toccare capitoli molto sensibili dal punto di vista sociale ed elettorale come gli 80 euro o le tax expenditure. Su oltre 830 miliardi di spesa pubblica, quella effettivamente aggredibile ha pochi spazi. Ci sarebbe poi il capitolo delle spese in conto capitale. Lo stesso Tria in più occasioni, anche ieri a Milano, ha sottolineato la necessità che la spesa per investimenti torni intorno al 3% rispetto all'attuale 2% per rafforzare la crescita. Nel capitolo, tuttavia, circa 60 miliardi di euro, oltre la metà, sono investimenti fissi ma ci sono quasi 7 miliardi sotto la voce altri trasferimenti.
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