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Opinioni

Mario Benedetto: «Manovra importante e ben fatta, così l’economia italiana può ripartire»

Mario Benedetto, giornalista de Il Tempo e professore alla Luiss Business School, commenta al DiariodelWeb.it le misure della prima legge di bilancio del governo Meloni

Fabrizio Corgnati

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Mario Benedetto, giornalista, saggista e professore universitario (© Facebook)
Mario Benedetto, giornalista, saggista e professore universitario (© Facebook)

La prima manovra economica del nuovo governo è stata varata definitivamente, ha ottenuto la vidimazione dalla Ragioneria dello Stato e la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ora il testo, composto da 174 articoli per un totale di 110 pagine, è passato in parlamento per l’approvazione. Tra le polemiche dell’opposizione ma anche tra i plausi di non pochi osservatori. Tra questi ultimi c’è anche Mario Benedetto, giornalista, firma de Il Tempo, professore alla Luiss Business School e autore del libro, appena uscito, «La staffetta. Il ricambio generazionale nelle imprese italiane». Il DiariodelWeb.it lo ha raggiunto per raccogliere la sua valutazione sulla Finanziaria.

Mario Benedetto, qual è il suo parere sulla prima legge di bilancio del governo Meloni?
Onestamente mi sembra una manovra importante e ben fatta. E lo dico a prescindere dalle ideologie, valutando le proposte. La filosofia che sta dietro ha due caratteristiche principali. Primo: è espansiva, a favore del lavoro e dei liberi professionisti, introduce una nuova visione dell’attività d’impresa.

E la seconda caratteristica?
La sostenibilità del sistema, a 360 gradi, a partire da quella economica. Per quelle realtà che hanno bisogno di accelerare, ma senza dimenticare la tanto discussa solidarietà sociale, l’attenzione alle fasce più bisognose, a chi si trova in condizioni d’indigenza. Anche su questo fronte, con interventi ben fatti e ben calibrati.

Entriamo nel merito dei singoli provvedimenti. Quelli che forse più di tutti hanno fatto discutere sono l’aumento della soglia minima per i pagamenti con il Pos, l’innalzamento del tetto al contante e la rottamazione delle cartelle esattoriali. Ha ragione chi denuncia un occhio di riguardo nei confronti degli evasori?
Io non lo vedo assolutamente, anzi. Sono fiducioso perché credo che, con questa visione del fisco, si recupereranno risorse. Mi sembra che si sia messo in campo un atteggiamento pratico, di realpolitik.

In che senso?
Parliamoci chiaro: chi vuole evadere non sta a vedere quale sia il tetto ai contanti. Io, personalmente, migliaia di euro in banconote non li ho, non li uso; anzi sono un grande sostenitore della dematerializzazione, anche perché favorisce la tracciabilità. Ma non considero questa misura né così impattante è grave, né tantomeno un regalo agli evasori.

Insomma, invece di fare la faccia cattiva ma poi in pratica non concludere niente, meglio essere più concreti e pragmatici?
Esatto. Questo dimostra anche la vera attitudine del presidente del Consiglio: si è sempre parlato della sua durezza, invece sta dimostrando grande intelligenza politica. La stessa che, devo riconoscerlo, avevano rivelato anche i precedenti governi che proposero misure simili.

Ma questo non significa cedere sul punto della legalità?
Io, in assoluto, sono un grande sostenitore delle regole, che assicurano ordine sociale. Ma voglio spiegare il senso di questa posizione con un esempio, anche se riguarda un ambito differente.

Prego.
Le quote rosa. Per le donne, penso non siano molto condivisibili: perché vorrei che fossero prese in considerazione per il loro valore, non per il loro genere. Però è uno strumento importante perché pone la questione femminile al centro dell’agenda politica, lo sposo perché fa progredire il principio.

Sostanzialmente il fisco meno opprimente è un mezzo, non un fine.
Assolutamente sì. Se c’è una salvezza per l’Italia, questa è la professione, la possibilità di lavorare. La vecchia contrapposizione tra padrone e lavoratore non esiste più, lo dicono anche i sindacati. Oggi, semmai, esiste un patto: se l’impresa fa profitto, quelle risorse le può impiegare anche per garantire condizioni migliori ai dipendenti. Il benessere dell’impresa è il benessere del lavoratore.

Per questo motivo ridurre le tasse alle imprese conviene a tutti?
Un’impresa liberata dal peso della pressione fiscale e del cuneo fiscale è un’impresa che produce. E innesca così un circolo virtuoso di cui beneficia tutta la società. Il lavoratore guadagna, è felice e gratificato e spende. Questo è il meccanismo liberale. Una politica attiva ed espansiva, non assistenziale.

Lo stesso discorso vale anche per la flat tax?
Noi ci siamo abituati a vederci prelevata, in alcuni casi, la metà del nostro stipendio. Ma questo fatto è tutt’altro che normale, anzi, è addirittura surreale. Quindi innalzare la soglia per le partite Iva è sacrosanto: saranno solo 20 mila euro in più, ma va benissimo. Fino a oggi, chi fatturava 65 mila euro e un centesimo balzava improvvisamente dal 5-10% a quasi il 40%. L’invito era a lavorare meno, perché così si guadagnava di più. Un messaggio sociale terribile.

I critici sostengono che così si perde il criterio di progressività delle imposte, che è garantito dalla Costituzione.
Mi spiega dove sta la progressività, passando dal 5 al 40%? Manca almeno uno scalone, se non di più. È quasi una misura incostituzionale. Anche la questione della presunta iniquità sociale, mi permetto di dire, non esiste: la tassa è piatta, ma ciascuno contribuisce in relazione a quanto guadagna. Inoltre, a beneficio dei più bisognosi, c’è la deducibilità e la detraibilità di molti costi. Se questa è la via che detta il governo, anche sul fisco, sono fiducioso.

Un’altra questione di cui si è discusso molto è il reddito di cittadinanza. Invece di abolirlo si è optato per riformarlo: è giusto?
Anche in questo caso, dico di sì. Checché ne dica qualcuno che si affacciava dal balcone, la povertà non è stata cancellata, come rivela anche l’ultimo rapporto della Caritas: anzi, c’è un milione di poveri in più. Lo stesso vale per la disoccupazione, in particolare quella giovanile: l’Italia è quarta in Europa per percentuale di «neet». E intanto i giovani fino ai 29 anni rappresentano il 38% dei percettori del reddito. I venti miliardi spesi fino a settembre scorso hanno portato a questo?

È la certificazione del fallimento del reddito di cittadinanza?
È la certificazione che va cambiato. L’intento della Meloni non è quello di dare poco a tanti, ma di dare di più a una platea selezionata, realmente bisognosa e impossibilitata: giovani, anziani, disabili. Invece, chi può, lavori. Voglio fare i complimenti al bel lavoro di un collega giornalista.

Quale?
Francesco Vecchi, due giorni fa, a Mattino Cinque, in una manifestazione a Palermo, ha intercettato un percettore di reddito e l’ha messo in contatto con un rappresentante dell’agenzia per il lavoro. La mattina dopo aveva trovato un colloquio ed era ben felice. Questo significa che si può fare, mettendo in comunicazione chi offre e chi cerca lavoro, in una cornice normativa giusta come quella delineata nella manovra.

È mancata la riforma dei centri per l’impiego, che continuano a non funzionare.
E come mai, visto che non funzionano, il Movimento 5 stelle ci ha imperniato attorno tutta la norma? C’è qualcosa che non va. Per questo il reddito va rivisto, perché paradossalmente è proprio in questo modo che si aiuta di più chi ha davvero bisogno. E si fa lavorare chi vuole e chi può farlo.

Con queste misure si aspetta realmente un rilancio dell’economia italiana?
Draghi, alla scadenza del suo mandato, ha sottolineato come il Fondo monetario internazionale, persino nel momento più difficile, ha riconosciuto all’Italia il ruolo di economia potenzialmente trainante in Europa negli anni a venire, insieme ad altre. Il nostro sistema, sotto stress, ha comunque tenuto. Se gli diamo un po’ di respiro, figuriamoci che risultato potremo ottenere.

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