19 aprile 2024
Aggiornato 09:00
Immigrazione

Quando i porti li chiusero gli altri: Prodi, Dini e Napolitano nel 1997 fermarono gli albanesi

Il 25 marzo 1997 il governo guidato da Romano Prodi attuò un vero e proprio blocco navale

Lamberto Dini, Romano Prodi e Giorgio Napolitano
Lamberto Dini, Romano Prodi e Giorgio Napolitano Foto: Filippo Monteforte ANSA

ROMA - E' il 25 marzo 1997, ore 11 del mattino: il porto di Brindisi è blindato. «Ci hanno sparato addosso, ci hanno sparato addosso», ripete, correndo, il comandante della Capitaneria di porto, Giovanni Bisio. Il vecchio mercantile Haftetato sta trasportando 353 persone, molte le donne con bambini. Da lì hanno sparato contro la Marina: colpi di kalashnikov all'ingresso del porto, quando il peschereccio ha tentato di entrare e una motovedetta ha cercato di convincerlo a tornare in Albania. «Da oggi si cambia», dice il comandante della Capitaneria: «Abbiamo disposizioni rigide sul respingimento». Dopo pochi secondi arriva il diktat del sottosegretario agli Interni, Giannicola Sinisi: «Il fenomeno è mutato di nuovo: sulle nostre coste non stanno arrivando più profughi, gente spaventata, ma uomini e donne che vengono da zone dove la rivolta non è neppure arrivata. Cercano una vita migliore, un lavoro più redditizio, sono, insomma, immigrati». Ufficialmente le nuove disposizioni date alla Marina parlano di «opera di convincimento». In pratica, è un blocco navale.

Il centrosinistra alla prova dell'«anarchia albanese»

Allora, 1997, al governo c'era il centrosinistra di Romano Prodi, che dovette far fronte alla cosiddetta «anarchia albanese», un Paese spaccato in due, devastato da una gravissima crisi economica, controllato da bande armate in pieno stile far west. Agli Esteri comandava Lamberto Dini, alla Difesa Beniamino Andreatta e all'Interno Giorgio Napolitano. Cosa fece, allora, il governo quando migliaia di immigrati albanesi tentavano di approdare sulle coste della Puglia? Aprirono i porti? No, misero in atto quello che di fatto fu un vero e proprio blocco navale, oltre ad offrire una «protezione temporanea» ai profughi. Anche se, naturalmente, Prodi si guardò bene dall'usare la definizione di «blocco navale», preferendo un molto più blando giro di parole: «Attività volta soprattutto a stroncare la malavita organizzata che gestisce gli espatri». Scriveva Repubblica:

Gli albanesi sparano con un kalashnikov, la Marina risponde con un blocco navale: da ieri è scattata la linea dura. Non sono più profughi, ma immigrati non in regola. E quindi vanno respinti. Ma l'Italia non si limiterà a 'blindare' il canale d' Otranto; invierà anche cibo e medicinali in Albania, oltre a impegnarsi per la ricostruzione delle strutture statali. Ieri sera il presidente del Consiglio Romano Prodi e il premier albanese Bashkim Fino hanno trovato a Roma un accordo per un piano anti-esodo: pattugliamento e aiuti, appunto, con l' obiettivo finale «di ripristinare il funzionamento della vita civile, economica e politica del Paese fino alle libere elezioni politiche che dovranno presumibilmente avvenire nel prossimo mese di giugno», dice Prodi. Aggiunge Fino: «Noi siamo d' accordo che l'Italia pattugli tutto l'Adriatico per fermare questo esodo, perché i problemi albanesi devono risolverli gli albanesi stessi in Albania».

Dov'erano allora i principi umanitari?

L'intesa tra Roma e Tirana arrivò dopo due ore di riunione a Palazzo Chigi, ma soprattutto dopo una sparatoria, in mezzo a un mare pieno di disperati. Il blocco, allora lo si disse molto bene, non è una deroga alla legge del mare, cioè alla convenzione internazionale sulla ricerca e sul salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile del 1979. L' Italia vi ha aderito con la legge del 3 aprile 1989 e con un successivo regolamento. Scrisse ancora Repubblica:

La convenzione di Amburgo impegna i governi ad adottare «ogni provvedimento» legislativo o altro provvedimento appropriato, necessari a dare pieno effetto alla convenzione sul soccorso marittimo che il decreto di adesione dell' Italia indica in «tutte le attività finalizzate alla ricerca e al salvataggio della vita umana in mare». Non sarà facile per la Marina Militare coniugare i princìpi umanitari con la nuova linea dura adottata dal Governo.