14 maggio 2025
Aggiornato 08:00
L'inchiesta

Trattativa Stato-Mafia, Di Matteo: «Ora serve un pentito dello Stato»

A parlare il pm simbolo dell'inchiesta e del processo sulla trattativa: «Trattare ha rafforzato molto Cosa Nostra. I Ros sono stati incoraggiati da livelli più alti. Cosa mi ha fatto male? Il silenzio»

Il PM della Dna, Nino Di Matteo
Il PM della Dna, Nino Di Matteo Foto: ANSA

ROMA - «Adesso ci vorrebbe un pentito di Stato, un qualcuno che faccia chiarezza rispetto a quanto avvenuto». Lo ha detto il pm della Dna Nino Di Matteo, in merito alla sentenza sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, rispondendo alle domande di Lucia Annunziata nel corso della trasmissione «1/2 ora in più», in onda su Raitre. «Restano spunti di riflessione per ulteriori approfondimenti - ha spiegato ancora il magistrato - Come quello del fallito attentato all'Olimpico del 23 gennaio '93».

Il pubblico ministero poco prima aveva sottolineato: «Ho sempre creduto nella doverosità di questo processo, qualunque esito avesse avuto. Ho la consapevolezza di aver fatto il mio dovere. La sentenza emessa da una corte qualificata che in cinque anni ha dato spazio a tutte le prove dell'accusa e della difesa, non ci ha colto di sorpresa». Rispetto alla trattativa in sè ha aggiunto: «E' stato messo un punto fermo con la sentenza. E' stato sancito che mentre la mafia, tra il '92 e il '93, faceva sette stragi c'era chi all'interno dello Stato trattava con vertici di 'Cosa nostra' e trasmetteva ai governi le sue richieste per far cessare la strategia stragista».

Insomma «è un punto importante che può costituire un input per la riapertura anche delle indagini sulle stragi che probabilmente non furono opera solo di uomini di 'Cosa nostra'». Inoltre «quello che mi ha fatto più male è che rispetto alle accuse di usare strumentalmente il lavoro abbiamo avvertito un silenzio assordante da chi ci doveva difendere. A partire dall'Anm e il Csm».

«Non riteniamo che il sistema politico non fosse a conoscenza, ma non abbiamo acquisito elementi che rimandino a qualcuno di preciso. Ci vorrebbe un 'pentito di Stato' che disegni con chiarezza quanto accaduto». Così ha spiegato il pm Di Matteo rispondendo alle domande di Lucia Annunziata.

«Abbiamo agito nei confronti di quei soggetti che ritenevamo coinvolti su base probatoria solida, ma non pensiamo che quei carabinieri abbiano agito da soli. Non abbiamo avuto prove per agire a livello più alto, ma riteniamo che quei carabinieri siano stati mandati ed incoraggiati a fare quella trattativa» e «avrei auspicato che avessero dato un contributo ulteriore di conoscenza».

Di Matteo ha poi ricordato che «un nome l'avevamo individuato, quello di Calogero Mannino, che in primo grado è stato assolto, è in corso un giudizio di secondo grado». All'avvio aveva detto che «abbiamo sempre creduto nella fondatezza della nostra tesi accusatoria, qualunque esito si fosse presentato eravamo sereni di aver fatto nostro dovere e fatto emergere oggettivamente fatti che riguardano il periodo dal 1991 al 1994 che prima non erano mai emersi».

Ed «ora attendiamo le motivazioni ma intanto il punto fermo è che nel momento in cui la mafia faceva sette stragi tra il '92 e il '93, c'era purtroppo qualcuno che dentro le istituzioni trattava e trasmetteva ai governi che si sono succeduti le richieste dei mafiosi per far cessare la strategia stragista. E' il punto di ripartenza per le indagini e l'approfondimento sulle vicende giudiziarie sulle stragi, probabilmente non opera soltanto di Cosa Nostra».

Di Matteo ha chiarito come il processo appena concluso a Palermo abbia riguardato «strettamente vicende tra la fine degli anni Ottanta e il '94, è venuto fuori un quadro che mentre c'era una parte dello Stato che lottava per l'affermazione dei principi di diritto, ce n'era un'altra che preferiva dialogare con la mafia. Dell'Utri è stato condannato per essere stato cinghia di trasmissione nel momento in cui Berlusconi ha assunto al guida del governo».

Dopo il pm Di Matteo in studio, a Raitre, è intervenuto l'ex ministro Nicola Mancino. «Io non ho mai conosciuto la trattativa. Lo posso affermare anche sotto giuramento di fronte alla corte che mi ha giudicato». Sempre rispondendo alla Annunziata ha aggiunto: «Io se avessi appreso che c'era una trattativa io avrei sollevato il problema dinanzi al consiglio dei ministri». Mancino ha poi aggiunto di «aver detto che non si poteva trattare con le Brigate rosse, figuriamoci se io potevo ammettere che si trattasse con la criminalità organizzata».