23 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Elezioni politiche 2018

Renzi e Berlusconi? Ormai sono la stessa persona

È inutile che Pd e Forza Italia si affannino a smentire di voler formare una grande coalizione: le larghe intese sono già una realtà, che si incarna nello stesso Matteo

La figura di Silvio Berlusconi aleggia su Matteo Renzi
La figura di Silvio Berlusconi aleggia su Matteo Renzi Foto: Ansa/Ettore Ferrari ANSA

ROMA – Sulle elezioni politiche alle porte aleggia un mostro. Una strana creatura che pare creata in laboratorio da un dottor Frankenstein in preda al delirio di onnipotenza, una specie di essere mitologico che ha il corpo di Matteo Renzi ma la testa di Silvio Berlusconi. Del resto, che il "bulletto" di Firenze fosse politicamente figlio dell'ex Cav, tanto quanto lo è anagraficamente del signor Tiziano (entrambi, stando a quanto risulta dalle indiscrezioni di stampa, apparentemente inclini a finire sotto indagine), è ormai fatto noto da tempo. Ma la disperazione di una campagna elettorale condotta tutta alla rincorsa è servita a far cadere anche gli ultimi, residui veli di decenza, e a mettere a nudo con chiarezza di fronte al popolo italiano l'avvenuta mutazione genetica. La definitiva fusione dei due contraenti del fu patto del Nazareno in un unico soggetto politico. Come a dire che non serve più nemmeno che Pd e Forza Italia si affannino a smentire, un giorno sì e l'altro pure, la loro intenzione occulta di formare una grande coalizione il giorno dopo il voto: tanto le larghe intese sono già una realtà, ontologica prima ancora che istituzionale, incarnata nella figura stessa del segretario Dem.

Fasciocomunisti
L'esempio più evidente di questo Renzi ormai totalmente berlusconizzato lo si vede proprio in queste settimane di ossessione antifascista culminata con il corteo di sabato a Roma. Giusto per citare alcuni degli slogan snocciolati in pochi giorni dal Rottamatore: «L'importante è combattere tutti insieme contro ogni forma di fascismo», «I fascisti ci sono ancora e vanno combattuti», «Il fascismo è stato il male assoluto». E nemmeno il povero direttore di Repubblica Mario Calabresi ne è uscito indenne, essendosi visto punire con il seguente sms per la grave colpa di aver osato alzare il ditino contro il capo: «Quando ti troverai il governo Salvini, con l'appoggio esterno di CasaPound, potrai essere fiero del fatto che le uniche parole su Macerata le hai spese contro Renzi. Non contro i fascisti». Il concetto è fin troppo chiaro. E somiglia squallidamente a quel ritornello che Berlusconi ha recitato per oltre vent'anni contro lo spettro dei comunisti; salvo abbandonarlo oggi, essendosi reso conto perfino lui del suo palese anacronismo, per sostituirlo con una nuova crociata contro il Movimento 5 stelle. La tattica è esattamente la medesima, e per giunta vecchia quanto il mondo: in mancanza di un programma politico, si prova a compattare il proprio elettorato almeno nel nome dello scontro diretto con un nemico comune.

Lavori e lavoro
Di altri «tentativi di imitazione» (per usare l'espressione cara alla Settimana enigmistica) ne potremmo citare a decine, ma ci soffermiamo solo su un paio particolarmente divertenti. Il primo è quello con cui Renzi va in giro a vantarsi delle magnifiche sorti e progressive del suo Jobs Act: «Si realizza un risultato storico – ha pomposamente annunciato sulla sua pagina Facebook – Da febbraio 2014 a novembre 2017 l'Italia ha recuperato più di UN MILIONE di posti di lavoro (scritto proprio così, in maiuscolo, ndr)». E poi ancora, ai giornalisti convenuti loro malgrado sul suo treno: «Puntiamo ad avere ancora un milione di posti di lavoro, ne abbiamo fatti già un milione in questi primi tre anni». Una maldestra scopiazzatura della cifra tonda inventata da Silvio in tempi non sospetti, addirittura nel 1994 e poi ripetuta fino alla nausea nel quarto di secolo successivo. «Lui li ha promessi, io li ho realizzati», protesta il Bomba: peccato che il 90% di questi sia composto da contratti a termine, precari, secondo quanto osservano esperti e osservatori indipendenti in coro. Il secondo esempio riguarda invece gli sfottò sul curriculum di Luigi Di Maio. «È sette anni fuori corso», ironizza il segretario Pd, che fa eco a Berlusconi il quale lo accusa di non aver «mai lavorato». Quantomeno, il fondatore di Forza Italia certe ironie se le può permettere, dall'alto del suo indiscutibile passato di imprenditore e manager. Di Renzi, prima di essere eletto ininterrottamente dal 2004 ad oggi, si ricorda solo l'impiego come dirigente nell'azienda di famiglia (chissà come avrà fatto ad essere assunto), oltre che naturalmente quello di capo scout. Un'esperienza non molto più ricca di quella da webmaster e steward allo stadio vantata da Giggino.

Pallido imitatore
Insomma, la logica che ha in mente Matteo Renzi è ormai scoperta: essendo costretto a recuperare milioni e milioni di voti nei confronti delle coalizioni avversarie, tenta di affidarsi al manuale utilizzato con successo in tante e tante occasioni dal più fenomenale animale da campagna elettorale che la politica italiana abbia mai conosciuto. Peccato per lui che la storia abbia insegnato ai suoi predecessori una semplice verità: messi di fronte alla proposta della brutta copia, gli italiani finiscono sempre per scegliere l'originale.