24 aprile 2024
Aggiornato 07:30
Jim Messina, artefice della rielezione di Barack nel 2012

Referendum, per la campagna il Pd sborsa 2,8 milioni. E Renzi chiama alla sua corte il guru di Obama

Non bada a spese Matteo Renzi, per vincere la sfida da cui dipende buona parte del suo futuro politico. Così, alla sua corte, ha chiamato addirittura Jim Messina, spin doctor di Obama nel 2012

ROMA - Per Matteo Renzi si profila una sfida storica, dalla quale dipende, in gran parte, le sorti del suo futuro politico. Lui, poi, non perde occasione di affermare che quella del referendum costituzionale è un'opportunità imperdibile, che «non ricapiterà», e che quindi è da cogliere al volo. Perché, dice, riguarda anche il futuro dei nostri figli. Non stupisce, insomma, che per una simile campagna Renzi abbia voluto affilare le armi, senza badare a spese. 

Il guru di Obama alla corte di Renzi
Così, il presidente del Consiglio - che sa benissimo che non sarà facile far vincere il sì - ha scelto di affidarsi a uno dei migliori spin doctor sulla piazza, colui che fu l'artefice della rielezione di Barack Obama negli States nel 2012: nientemeno che Jim Messina. Un nome che, per gli addetti ai lavori, è anche una promessa. Perché con Messina nessuna impresa è impossibile.

2,8 milioni di euro per la campagna
La parcella, naturalmente, deve essere all'altezza della promessa: 400 mila euro. Appena centomila euro in meno di quanto il Pd ha incassato con la raccolta delle 500 mila firme per il referendum. Un investimento azzardato, insomma: ma il gioco vale la candela. Quella somma sarà scucita dai gruppi di Camera e Senato, assieme agli ulteriori 700 mila euro destinati alla campagna pubblicitaria. Una campagna che, peraltro, ha causato parecchi mal di pancia alla minoranza Pd, per i toni non estranei ai Cinque Stelle che cavalcano i temi contro la casta. Complessivamente, l'intera campagna per il sì dovrebbe costare quasi 3 milioni di euro: per la precisione 2,8 milioni di euro. Budget che, inutile dirlo, è stato fatto schizzare alle stelle proprio dalla super-consulenza di Messina.

L'esempio di Obama 2012
Il quale dovrà spiegare al premier come convincere quella larga fetta di indecisi che rischia di mandargli a monte i sogni di gloria. L'idea è quella di puntare tutto sull’analisi dei big data e sul coinvolgimento diretto degli elettori, con la formazione di migliaia di comitati elettorali che si incaricheranno di spiegare la riforma ai cittadini. Una campagna porta a porta, dunque, basata su slogan semplici ma memorabili. Proprio come fu per Obama nel 2012. 

Precedenti (finiti male)
Ma come ci è finito uno come Jim Messina nell'entourage di Renzi? In realtà, la circostanza non è così sensazionale come si potrebbe pensare. Non è affatto la prima volta che politici italiani si affidano a illustri spin doctor d'oltreoceano: nel 2001, ad esempio, il guru delle campagne di Bill Clinton, Stanley Greenberg, fu assoldato da Francesco Rutelli. Ma anche colui che orchestrò quella rivoluzionaria campagna di comunicazione che portò Barack Obama alla sua prima presidenza, David Axelrod, fu scelto da un italiano: nientemeno che Mario Monti. Nessuno dei due esperimenti finì bene, ma il secondo - contrariamente alle aspettative e nonostante la parcella stellare - si rivelò una catastrofe. Perché Axelrod, anziché esaltare i punti di forza di Monti agli occhi dell'elettorato (impresa difficile, ma non impossibile), tentò di trasformarlo in ciò che non era: non a caso, la sconfitta del tecnico prestato alla politica venne sancita nell'esatto momento in cui gli ficcarono in braccio quel famoso cagnolino nel salotto tv di Daria Bignardi: uno dei momenti più imbarazzanti della storia della comunicazione politica.

Messina con Cameron e Rajoy
Con Matteo Renzi, che a Obama si è sempre ispirato, si può pensare che Jim Messina avrà vita più facile di quanto non fu per Axelrod con Mario Monti. Messina, origini italiane, una casa in Toscana, incontrò Renzi – reduce dalla sconfitta con Bersani alle primarie – nel 2013. Ma condusse anche la campagna di David Cameron in Gran Bretagna e di Mariano Rajoy in Spagna (avventura che conclusa con una cocente sconfitta).

Origini e mentori
Nato in Montana, proprio lì il giovane Jim incontrò il suo primo «mentore» Max Baucus, senatore democratico poco noto, ma che nei suoi 36 anni al Congresso ha intessuto rapporti tentacolari con tutte le lobby che contano. La sua rapida carriera è stata segnata (oltre che da Obama) dall’incontro con un secondo «mentore», Eric Schmidt, Ceo e poi presidente di Google,  e dagli stretti rapporti con i manager di Facebook e Twitter.

Un referendum sul futuro
La sua strategia è quella dei «big data» e del «door to door», anche detto «porta a porta», che oggi usufruisce delle e-mail. Una strategia, attenzione, per nulla banale, perché presuppone una grande mappatura politica e socio-culturale del territorio, e migliaia di volontari che vantino linguaggi, immagini e identità simili alle figure sociali che si vogliono contattare. Perché come Messina ama spesso ricordare (con le parole che gli disse nel 2011 Bill Clinton): «Tutte le elezioni nazionali sono sempre un referendum sul futuro». Una massima che il premier italiano sembra aver già fatto sua.