25 aprile 2024
Aggiornato 19:30
Salone del Libro (di Torino o di Milano?)

La battaglia del libro, Torino contro Milano: storia di una guerra per gli ultimi turisti

Numeri gonfiati, costi stellari, inchieste. Poi la nascita della milanese Fabbrica per il Libro spa e il tentativo di creare un MiTo del libro, fino al niet che non mette d'accordo nessuno

Il Salone del Libro di Torino
Il Salone del Libro di Torino Foto: Shutterstock

TORINO - Un rigurgito dell’Italia dei comuni? Oppure il plastico esempio di un mondo che testimonia la guerra del tutti contro tutti, che giunge a mettere in competizione economica città che distano appena 120 km, il cui esito può caratterizzare l’ascesa o il declino di una comunità? Deve esistere un oscuro principio della termodinamica che più o meno dovrebbe suonare così: «In natura, tutto ciò che viene inventato a Torino tende a decadere (principio dell’entropia) per poi riorganizzarsi con forza superiore a Milano. Gli esempi che i torinesi piagnoni posso elencare a manciate hanno un lungo excursus storico: vulgata vuole che a Torino sia stato inventato un po’ tutto, e poi inesorabilmente sia finito a Milano. Al momento l’unico «successo» che resiste a Torino è la Juventus, ma non si esclude che un domani remoto possa diventare la terza squadra di calcio milanese: Inter, Milan e Juve, pensate che meraviglia. Ma oggi a volare verso i lidi meneghini è lo storico Salone del Libro, creatura tipicamente torinese, nata da una felice e coraggiosa intuizione più di trent'anni fa.

Numeri gonfiati al Salone
La vicenda, al di là delle piccole inimicizie locali che vedono coinvolti i sempiterni salotti torinesi che gestiscono la città da vent'anni, e, badi bene, continuano anche nel nuovo corso a cinque stelle, sono piuttosto semplici da raccontare. Il Salone torinese ha avuto per anni un gestione squilibrata economicamente, connotata da costi elevati e perdite, e gli editori da tempo si lamentano delle spese eccessive. Nel 2015 le presenze totali furono 276.179 e 122.638 i biglietti a pagamento, contro le 341mila annunciate al termine dei cinque giorni. La differenza è dunque di quasi 64.821 ingressi. Anno 2014: presenze 300.502, contro le quasi 340mila annunciate al termine dell’edizione. Nel 2013: 298.554 contro 329mila, 30.446 ingressi in meno. Scarti impressionanti, che portarono a teorizzare «gli ingressi ipotetici», differenti da quelli «reali».

Turbativa d'asta, costi stellari e l'ex assessore indagato
Ma è solo un esempio di cosa fosse il Salone del Libro torinese negli ultimi tempi. Così a Torino nascono inchieste giudiziarie, già nel 2015, per peculato: il Salone è un colabrodo di denaro, nonostante il successo di pubblico. E a luglio di quest’anno giunge il colpo di grazia giudiziario: quattro arresti per turbativa d’asta e un indagine a carico dell’ex assessore alla cultura di Torino, Maurizio Braccialarghe. L’avvitamento morale, i costi alle stelle, nonché la reiterata accusa ai torinesi di essere geograficamente marginali rispetto Milano, portano gli editori all’abbandono della capitale sabauda. Terra d’approdo, finalmente, Milano.

La nascita di Fabbrica del Libro spa
Il 5 settembre nasce la società per azioni Fabbrica del Libro, le cui quote azionarie sono così ripartite: Editori Italiani (Aie) 49%, Fiera Milano 51%. Comanda la Fiera di Milano, quindi: ma gli editori sono contenti di affidarsi, perché i milanesi mettono sul campo una struttura societaria strettamente privata. Mentre a Torino i salotti rimangono basiti dalla determinazione, che sfiora la malcelata antipatia, di andar via dimostrata dagli editori, da Milano partono annunci trionfali di fiere di grande successo, «sogni che finalmente diventano realtà».
Ha inizio quella che appare come una guerra di campanile, ma che per Torino è un battaglia per la sopravvivenza. Almeno così si deve pensare visto l’incenso sparso a pieno turibolo sul mito della trasformazione della città-fabbrica.

Chiamparino, Appendino, Christellin e gli altri
La trionfale fine dell’epoca fordista ha visto un doloroso trapasso a un economia del turismo e della «cultura». Trasformazione quanto mai complessa, ma assai celebrata, se si analizzano gli indicatori economici della città che raccontano un territorio impoverito e dilaniato dalla disoccupazione negli ultimi venti anni. Perdere il Salone del Libro, dopo trent'anni, potrebbe essere il colpo definitivo alla città che non riesce a riprendersi dopo vent'anni di trasformazione forzata? Chiamparino e Appendino passano al contrattacco e chiamano a capo del Salone l’ex ministro Massimo Bray: sorge l’ipotesi due saloni. Baricco profetico commenta: «Due saloni? Ma tanto vince Torino». Le ultime parole famose. Entra in scena anche una star di Torino, Evelina Christellin, presidente dell’Enit (Ente nazionale per il turismo), appena nominata da Renzi. Con l’editore Luca Formenton (il Saggiatore), prefigura un salone unico, in cui Torino e Milano convivono in piena sintonia e fraternità benedettina. Un «ToMi» del libro, che permetta a Torino di avere qualcosa.

Un ToMi del libro? No
Ma il mercato non funziona così, il mercato funziona secondo una regola molto semplice: mors tua, vita mea. E i milanesi vogliono tutto. L’amministratore delegato di Fabbrica del Libro spa, Corrado Peraboni, spiega con trasparenza il suo punto di vista: «L’accordo romano su un ipotetico MiTo del libro? Per noi non cambia nulla, andiamo avanti con il nostro progetto. Siamo una società quotata in Borsa e abbiamo versato il capitale sociale, abbiamo il dovere di evitare pasticci nei confronti dei nostri azionisti…». Traduzione: mettiamo i soldi, comandiamo noi. La data del salone del libro milanese viene segnata ad aprile 2017, un mese prima di quello torinese, che così risulta un inutile doppione nonostante l’adesione di alcuni editori.

La superfuffa dopo la fuffa, ci si mette pure Franceschini
Massimo Gramellini ha una trovata buonista per ingentilire i milanesi: a Milano cinque giorni di fiera, cioè i soldi, a Torino cinque giorni di dibattiti. Sogni, che lo stesso Peraboni così traduce: «A Torino qualche evento». Il ministro Franceschini, che manifesta sommo disinteresse per la guerra del libro, si lancia in banalità da bar su accordi che valorizzino… fuffa. Poi minaccia penali per chi non accetta l’accordo di equa divisione: superfuffa. Milano fa spallucce, ripete che al massimo a Torino ci sarà qualche evento collaterale, e si arriva all'ultimo incontro, in cui sostanzialmente non si raggiunge nessun accordo. «E' stata un'ora e mezza di riunione complicata. Nelle discussioni delle funzioni tra Milano e Torino ci siamo trovati di fronte a molte rigidità tra le due città e quindi questo ha impedito di trovare una soluzione». E attenzione attenzione aggiunge: «L'Italia perde una grandissima occasione che si presenta con due Saloni del libro che si faranno una concorrenza spietata». Un pessimo risultato, per tutti.