26 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Il premier si gioca tutto l’Italicum

Renzi alla minoranza Pd: «Belli ciao»

Il segretario rende pubblica la lettera che ha scritto ai «circoli», la base del partito per spiegare il suo «no» alla Bindi, a D’Alema e a Bersani. Voto segreto sulle pregiudiziali e si avvicina sempre di più il ricorso alla fiducia per la conta finale.

ROMA - Mentre un gruppo di simpatici vecchietti della borghesia milanese intonava Bella Ciao all’entrata di Sergio Mattarella al Piccolo Teatro di Milano, e qualche compagno nostalgico si lamentava del mancato invito di Bersani alla festa del Pd a Bologna, Matteo Renzi annunciava che se la nuova legge elettorale non fosse passata alla Camera il suo governo sarebbe andato a casa. Questo segna la distanza che c’è in questo momento fra il presidente del Consiglio e il caro vecchio apparato rimasto a rappresentare una minoranza sociale privilegiata, uscita indenne dalla crisi economica e dalle riforme imposte all’Italia dalla Germania dopo la bomba allo spread lanciata sul governo Berlusconi.

LE ASPIRINE DI DRAGHI NON BASTANO PIÙ - Il Belpaese è un malato terminale tenuto in vita dalle aspirine di Mario Draghi e dalle vitamine che ogni tanto ci concede la signora Angela Merkel, ultimamente sempre a ridosso delle campagne elettorali. Ma per uscire definitivamente dal coma e ricominciare a vedere la luce in fondo al tunnel servono le riforme, le stesse che invoca il presidente della Bce ogni volta che dà all’Italia una boccata d’ossigeno. Riformare il Paese non significa dare una mancetta elettorale alle categorie sociali che più rappresentano il governo, come spesso è stato fatto negli ultimi decenni nessuno escluso, o annunciare un rilancio dell’economia che ormai non avviene dal dopoguerra.

RENZI CI METTE LA FACCIA - Riformare il Paese significa fare in modo che la macchina parlamentare funzioni, che ci sia un partito che vinca democraticamente le elezioni, e che dopo averle vinte abbia la possibilità, e quindi l’obbligo, di decidere. Nel bene e nel male. Se sbaglia va a casa, se fa bene resta. Finché una legge per essere approvata necessiterà di quattro passaggi parlamentari, finché il governo resterà in balia di partiti rappresentanti dello zerovirgola, finché un singolo deputato o senatore avrà il potere di ricattare il presidente del Consiglio, non esisterà provvedimento che possa rilanciare l’economia, l’industria e il lavoro in l’Italia.

LA DITTATURA DELLA ROTTAMAZIONE - Sicuramente l’Italicum non è la migliore delle leggi elettorali, probabilmente la riforma del Senato poteva essere fatta meglio. Ma non è più tempo per i sofisti. Il punto è che finalmente qualcuno ha messo mano alle regole del gioco, e chi verrà dopo di lui avrà l’opportunità di realizzare quanto promesso in campagna elettorale. Le accuse lanciate a Matteo Renzi di essere un «dittatorello», sostenute da destra a sinistra, più che ridere fanno tenerezza. Da destra perché vengono sostenute da quel partito, ovvero Forza Italia, che al Senato ha votato le stesse leggi che oggi contesta. E da sinistra in quanto i pochi rimasti della Resistenza hanno dimostrato in più occasioni di votare contro il governo solo dopo aver fatto bene i calcoli per non mandarlo sotto e quindi andare tutti a casa. Ben consapevoli che questa volta per molti di loro sarebbe per sempre.

LE VESTALI NON FINISCONO MAI - Per questo il ministro Maria Elena Boschi metterà la fiducia all’Italicum e la nuova legge elettorale verrà approvata. Le opposizioni urleranno, sbraiteranno, dichiareranno su giornali e tv, ma alla fine si adegueranno e vedranno garantita la loro poltrona, almeno fino a dopo le vacanze, quando saranno passati due anni e mezzo dall’inizio della legislatura e per i deputati si incrementerà il vitalizio come se la legislatura fosse stata intera. A quel punto, forse, l’Italia potrebbe tornare al voto. Con l’Italicum.