Pensioni, ecco che cosa propone la Lega Nord
Innanzitutto, l'abolizione della Fornero, ma questa non è una novità. La proposta di riforma previdenziale firmata Italia Nuova, ripresa dalla Lega e diffusa dalla stampa promuoverebbe una pensione a importo fisso di 800 euro con 35 anni di contributi per 14 mensilità, integrabile mediante prosecuzione volontaria. E un tetto massimo di contributi sborsati dai datori di lavoro di 5mila euro annui.
ROMA – La Lega, si sa, sulla riforma Fornero ha sempre avuto parecchio da obiettare. E ancora non ha digerito la bocciatura del referendum indetto dal partito per l’abolizione del provvedimento che porta il nome dell’ex Ministro del Lavoro. In questi giorni, però, notizie di stampa hanno preannunciato una proposta di riforma del sistema previdenziale, targata sì Lega, ma partorita dal leader del Partito Italia Nuova Armando Siri. La sostanza della proposta, una pensione con 35 anni di contributi e di un importo fisso di 800 euro al mese per 14 mensilità, che diventano mille euro al perfezionamento di 40 anni di contributi. E senza alcun vincolo di età anagrafica.
IMPORTO FISSO DI 800 EURO A 35 ANNI DI CONTRIBUTI - Pare che il progetto targato Siri e ripreso da Salvini intenda rivolgersi specialmente ai «giovani», coloro che hanno iniziato a versare successivamente al 31 dicembre 1995 e che, pertanto, sarebbero molto penalizzati da un sistema meramente contributivo. Anche per loro, sarebbe quindi garantita una pensione a importo fisso di 800 euro al mese con 35 anni di contributi, cifra corrisposta per 14 mensilità che il lavoratore potrà decidere di integrare con i contributi provenienti da una prosecuzione volontaria, che consentirebbe di raggiungere un minimo di 1000 euro mensili. Inoltre, i lavoratori che sono in possesso di 25 anni di contributi effettivamente versati, potranno anch'essi fare tesoro della proposta della Lega solo se si aspettano di percepire più di 1.000 euro al mese e, per recuperare la differenza, potranno usufruire del rimborso una tantum rateizzato in tre anni.
TETTO MASSIMO DI CONTRIBUTI A CARICO DEL DATORE DI LAVORO, 5MILA EURO - Siri spiega così i vantaggi di una simile riforma: «Ci saranno più soldi nella vita lavorativa eventualmente disponibile per la previdenza integrativa e poi tutti avranno una pensione uguale e dignitosa con il raggiungimento del periodo contributivo». Oltretutto, il progetto, che equipara lavoratori dipendenti ed autonomi, prevederebbe anche sgravi fiscali per i datori di lavoro: il tetto di contributi a carico del datore infatti non potrà superare i 5.000 euro all'anno; la restante parte sarà a carico del lavoratore, che dovrebbe pagare un’aliquota del 10% della retribuzione media annuale sino ad un massimo complessivo di versamenti pari a 7.500 euro l'anno. Il lavoratore che, in base alla sua retribuzione, versa contributi superiori a 7500 euro annui, riceverà questa differenza in busta paga. In questo modo, con 40 anni, si potrebbe accumulare un montante di 300mila euro. Insomma, l’dea di base non è soltanto quella di garantire un tetto minimo pensionistico a tutti i lavoratori, anche i «più giovani», dipendenti e non; il progetto mira anche a favorire il datore di lavoro, che, nella situazione attuale, paga maggiori contributi pensionistici quanto più il lavoratore guadagna. Con questa riforma, invece, il datore di lavoro pagherà 5mila euro l’anno per ciascun lavoratore indipendentemente dal suo reddito. Oggi il versamento dei contributi è obbligatorio per evitare che lo Stato debba sostenere costi sociali eccessivi.
PENALIZZATE LE PARTITE IVA? - Una proposta, insomma, che andrebbe a favorire i datori di lavoro da un lato, e i lavoratori più penalizzati a livello di previdenza dall’altro. Tuttavia, chi la critica sostiene che, innanzitutto, garantire una pensione di 1000 euro ai più giovani significa non tenere conto che, tra quarant’anni, quella cifra potrebbe essere irrisoria rispetto al valore della moneta. Altra questione aperta, il fatto che, a fronte di un trattamento pensionistico uguale per tutti, anche il costo previdenziale rimarrebbe tale: una partita Iva si troverebbe gravata cioè di tutti i costi che, nel caso del lavoratore dipendente, vengono ripartiti con il datore di lavoro. Inoltre, i detrattori della proposta avanzano la medesima osservazione imputabile alla Flat Tax, sistema che non rispetterebbe l’art. 53 della Costituzione, che prescrive che il sistema tributario sia uniformato da criteri di progressività della tassazione, con la capacità contributiva del cittadino. Allo stesso modo, l’idea di un sistema previdenziale unico e indipendente per tutti, che non tiene conto delle debite differenze. Eppure, secondo Siri, quella riforma garantirebbe vantaggi per tutti, e ridurrebbe di molto i costi sociali: «In sintesi, il costo previdenziale diventa uguale per tutti, il datore di lavoro, grazie al combinato con la Flat Tax, risparmierà sul costo del lavoro e ogni lavoratore avrà una busta paga più consistente nella certezza che, quando andrà in pensione, lo Stato garantirà a tutti una somma dignitosa per vivere».
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