I grillini: «Noi siamo per escludere l'intervento militare»
Precipita la situazione in Libia dopo che lo Stato islamico occupa Sirte e punta dritto a Misurata. Il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, nei giorni scorsi ha ipotizzato un intervento ONU con alla guida proprio l'Italia; il premier Matteo Renzi oggi spiega che non è ora di intervenire. La deputata del M5S, Edera Spadoni, commenta la situazione e la posizione del Governo Renzi.
ROMA - «Io credo che Gentiloni, la Pinotti e Renzi debbano fare pace col cervello». Così Edera Spadoni, deputata grillina, commenta, in un'intervista a DiariodelWeb.it, gli ultimi sviluppi sul caso Libia, e, in particolare, la posizione del governo italiano in merito. «Ieri la Pinotti ha ipotizzato 5mila militari da inviare, «siamo pronti all'intervento», le ultime notizie di qualche ora fa sono che Renzi comunica che non ci sarà alcun intervento militare da parte dell'Italia. Gentiloni dice un'altra cosa ancora. Che si mettano d'accordo. Nel senso che quello che io vedo è che il governo non ha assolutamente una linea comune, ma ha solamente una serie di dichiarazioni», continua la deputata.
INVECE DI PARLARE, RENZI RIFERISCA IN AULA - «Che poi vorrei aggiungere una cosa – spiega Edera Spadoni –: ci sono dichiarazioni, ci sono tweet, loro parlano con i giornali invece di venire in Parlamento. Cioè prima di partire e dire «mandiamo militari», c'è un articolo della Costituzione che dice che comunque il governo deve venire a riferire in Aula e le Camere devono decidere se fare determinati interventi. Questi, invece, stanno facendo tutti il contrario di tutto. Esempio lampante è stato quello che è successo la settimana scorsa, in cui in modo autoritario un premier ha deciso di portare avanti una riforma costituzionale senza le opposizioni. Sono modi autoritari, questi. Quindi loro devono fare pace col cervello e decidere che linea il Governo debba adottare, venire a riferire in Parlamento e far decidere al Parlamento. Ma prima di tutto devono decidere tra di loro, perché le dichiarazioni sono discordanti».
L'ITALIA NON SI PRENDA RESPONSABILITA' NON SUE - Nel 2011 Silvio Berlusconi era stato il solo a sollevare dubbi in merito all'intervento militare che la NATO si preparava a portare avanti nel Paese di Gheddafi e che avrebbe visto i caccia prima francesi, poi anche inglesi e americani sganciare bombe sui cieli libici. Per la deputata del Movimento 5 Stelle, «aldilà del sollevare dubbi, è stato abbastanza esplicativa l'azione che è stata fatta in Libia. Cioè, è stato deciso, attraverso una risoluzione ONU, la 1973, di autorizzare interventi militari. Il punto è che questo ha creato caos a livello di politica, che poi ha portato alla guerra civile che noi conosciamo. Quindi chiaramente questo caos – e con ciò non voglio dire che Gheddafi avesse una politica giusta – ha contribuito a far sì che si arrivasse a questa situazione. Tra l'altro ricordo che in un'intervista a Gheddafi sul Corriere della Sera, Gheddafi affermava: «Voi non vi rendete conto del fatto che fra poco ci sarà un certo tipo di estremismo islamico che arriverà direttamente sulle vostre coste. Io questo non lo permetterò». Due mesi dopo Francia e Inghilterra hanno deciso di bombardare con l'azione NATO – spiega la deputata pentastellata –. Siamo arrivati al punto che noi creiamo il problema, perché chiaramente anche la questione dell'islamismo estremista è chiaro che sia dovuta ad una situazione di instabilità che determinate politiche occidentali hanno portato nel corso degli anni. Noi creiamo l'instabilità, poi arrivano determinate frange estremiste e quindi a quel punto dobbiamo correre ai ripari. È assurdo», continua Spadoni.
LA SOLUZIONE NON E' LA GUERRA - Quale potrebbe essere la soluzione alla situazione della Libia? «La soluzione sicuramente non può darla il Movimento 5 Stelle – precisa la deputata –, sono questioni talmente delicate e talmente complicate che è davvero complesso riuscire a dare una soluzione. La nostra linea è quella non interventistica. Quindi l'idea non è quella di andare ad intervenire militarmente, perché abbiamo già visto in tutti gli altri scenari cosa è successo: non c'è stata una stabilizzazione attraverso interventi in Iraq, interventi in Afghanistan, e, nel 2011, con gli interventi in Libia. Quindi l'intervento militare noi lo escludiamo. Potremmo valutare eventualmente un intervento dell'ONU, però chiaramente valutando effettivamente quello che hanno intenzione di fare, ma di certo non deve essere l'Italia a prendersi la responsabilità di questo. La risoluzione del 1973 dell'ONU è stata richiesta da Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Libano. Allora non è che la Francia inizia a bombardare e ottiene poi eventuali vantaggi economici a livello petrolifero e noi invece ci ritroviamo le carrette di migranti. Non è possibile, allora che loro si prendano le responsabilità delle scelte che hanno fatto. Ma se le prendano loro, non che a loro vanno gli onori e a noi arrivano solo gli oneri. Chiaramente bisogna che ci sia un'informativa seria di Gentiloni, che ci sarà il 19 febbraio in Parlamento, su come è la situazione e da lì si deciderà. Però prima di tutto, ogni scelta che viene fatta deve passare per il Parlamento», conclude la deputata Edera Spadoni.
IL RITORNO ALLE TRIBU' - Un salto indietro di duecento anni e la Libia torna allo stato di «tribalizzazione del territorio». Così o storico del colonialismo italiano Angelo Del Boca e padre Alex Zanotelli dipingono la situazione attuale dello Stato nordafricano, in cui, dalla morte del dittatore Muammar Gheddafi si è andati incontro alla degenerazione più totale, come dimostrato dagli ultimi fatti. Il Colonnello «aveva dato ai libici una fierezza che non avevano mai conosciuto». Dalla morte del Colonnello Gheddafi – avvenuta nel 2011 durante la guerra civile che segna profondamente la Libia – il Paese viene gestito da governi di transizione, tra continui scontri armati tra le diverse fazioni. «Il Colonnello era un tiranno – afferma lo storico Del Boca –, usava il terrore, ma aveva un'indubbia statura politica. Non a caso era riuscito a tenere insieme per 42 anni un Paese composto da innumerevoli tribù, molto diverse tra loro, che ora si sono scatenate l'una contro le altre. Abbatterlo ha aperto le porte al fanatismo religioso».
DALLA MORTE DI GHEDDAFI - E, infatti, l'avanzata islamista in quello che Mussolini definì «la quarta costa dell'Italia, è stata evidente fin dai mesi successivi alla morte di Gheddafi. Tra gli atti più eclatanti, quello di settembre 2012, con l'assalto al consolato degli Stati Uniti da parte dei miliziani di Al-Sharia, che si concluse con l'uccisione dell'ambasciatore Chris Stevens e di altri tre cittadini americani. Un anno dopo, nell'ottobre 2013, il primo ministro libico, Ali Zeidan, viene rapito da miliziani armati a Tripoli, e, a novembre, a Bengasi negli scontri con gli islamisti muoiono nove persone. Nel 2014 quasi tutte le ambasciate vengono chiuse, allontanato l'organico delle Nazioni Unite. A prendere il controllo di buona parte di Bengasi è Ansar al-Sharia, gruppo vicino all'Isis, mentre sono proprio i membri dello Stato islamico a prendere il porto di Derna, nell'Est della Libia.
GHEDDAFI BARRIERA A JIHAD - Il Paese, dunque, crolla nelle mani dei fondamentalismi islamici. «Gheddafi era una barriera importante contro i jihadisti», afferma al Corriere della Sera Valentino Parlato, nato proprio in Libia e tra i fondatori de il manifesto. «La Libia era un Paese tranquillo, dove si viaggiava senza pericoli. Inoltre a Tripoli non si vedeva un mendicante: il governo, per quanto dittatoriale, usava parte della rendita petrolifera a favore della popolazione», conclude Parlato. «Ai tempi di Gheddafi il reddito pro capite libico era il più alto dell'Africa – sostiene Del Boca –, molti servizi pubblici erano gratuiti e i beni di prima necessità erano venduti a prezzi politici».
REALISMO POLITICO - È «realismo politico», spiega Parlato, «non una questione di nostalgia». Perché è così, invece, che la politica italiana sembra ricordare il dittatore libico. Con nostalgia. L'ex leader dell'Ulivo, Romano Prodi, in un'intervista a Il Fatto Quotidiano, afferma che «non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto» con l'uccisione del Colonnello Gheddafi. «Si tratta di un errore nostro. Delle potenze occidentali – afferma Prodi, che conosce bene la situazione libica perché uno dei pochi conoscitori del Dossier Libia ed ex inviato delle Nazioni Unite per il Sahel –. La guerra in Libia del 2011 fu voluta dai francesi per scopi che non lo so… certamente accanto al desiderio di ristabilire i diritti umani c’erano anche interessi economici, diciamo così», alludendo all'azione della Francia che, per prima, inviò i suoi caccia sui cieli libici. «Non era difficile prevedere che si sarebbe arrivati a questo punto, davvero non lo era neppure nel 2011», continua Prodi. «Cosa bisogna fare non lo so. Oggi non lo so più, mi creda. So bene quanto si sarebbe dovuto fare dopo la caduta di Gheddafi. Bisognava mettere tutti attorno a un tavolo, invece ognuno ha pensato di poter giocare il proprio ruolo».
LA NOSTALGIA DEI POLITICI ITALIANI - Non solo Prodi. Anche da Forza Italia, Mariastella Gelmini e Maurizio Gasparri sottolineano gli errori di un governo che nel 2011 volle appoggiare la disastrosa offensiva francese, con le conseguenze che oggi si pagano. In modo particolare, dai forzisti si punta l'attenzione sul ruolo che, allora, ebbe il leader di Fi, Silvio Berlusconi. Presidente del Consiglionel 2011, Berlusconi sollevò dubbi e perplessità rispetto all'intervento nel Paese nordafricano. Daniela Santanché, a tal proposito, punta il dito contro quello che a suo dire sarebbe il vero protagonista dell'azione antigheddafi, l'alora Capo di Stato Giorgio Napolitano: «Prodi dovrebbe dire la verità. Invece preferisce contribuire al velo di ipocrisia che aleggia su una classe politica fatta di mistificatori e manipolatori. Fu Napolitano a 'ordinare' i bombardamenti italiani contro la Libia in quel gabinetto di guerra convocato d'urgenza nella saletta nella pausa al Teatro dell'Opera. E io ricordo ancora un Berlusconi triste in volto e molto rammaricato, sul punto di dimettersi proprio perchè consapevole del gravissimo errore che l'Italia stava per compiere».
LA FUGA DEI LIBICI - Per l'esponente del Nuovo Centrodestra, Fabrizio Cicchitto, l'uccisione di Gheddafi fu «dissennata», per Giorgia Meloni, fu un «disastro», per Bonanno di Lega Nord «meglio il beduino Gheddafi che il califfo tagliagole». Il parere dello di Valentino Parlato è, però, diverso: «Chi prova nostalgia sono soprattutto i libici, visto che seicentomila sono fuggiti in Tunisia e un milione in Egitto».
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