28 marzo 2024
Aggiornato 12:00
Politica estera | Italia-Libia

Monti vede Jalil, riparte il «Trattato di amicizia»

Con l'incontro di oggi a Roma è «riattivato» l'accordo del 2008 che prevede che l'Italia finanzi opere pubbliche in Libia per 5 miliardi di dollari in 20 anni e che, in cambio, riceva una posizione privilegiata nelle commesse pubbliche. I libici ringraziano l'ENI e promettono quota fondi scongelati a PMI

ROMA - Il cruciale accordo Italia-Libia, che in molti davano per spacciato nel 'dopo Gheddafi', riparte con il governo Monti. Il premier ha ricevuto stamattina a palazzo Chigi il presidente libico Mustafà Abdul Jalil, leader del Consiglio nazionale degli ex ribelli (Cnt), con cui ha «deciso di riattivare il trattato di amicizia, la cui applicazione era stata sospesa con l'inizio del conflitto in Libia» come annunciato dallo stesso Monti alla stampa.
«Abbiamo percorso i modi concreti per concentrarci sulle priorità della nuova Libia» ha proseguito il presidente del Consiglio, a cui hanno fatto eco le parole di Jalil secondo cui, quella di oggi, è stata una decisione «nell'interesse dei due Paesi». Il 'trattato di amicizia', firmato il 30 agosto 2008 da Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi, era stato congelato all'inizio della guerra nel paese nordafricano con una decisione politica dell'ex esecutivo italiano.

Quella di fine febbraio non era stata un'interruzione «tecnica» cioè non c'era stata alcuna legge del parlamento che sospendesse il trattato, quindi «da un punto di vista formale» i due leader hanno potuto prendere la decisione di riattivare l'accordo senza alcun passaggio governativo o parlamentare specifico, hanno precisato fonti diplomatiche vicine al dossier. Da parte libica, d'altronde, non sarebbe stata avanzata alcuna obiezione né proposta di emendamento al testo.
L'accordo di Bengasi, in estrema sintesi, prevede che l'Italia finanzi opere pubbliche in Libia per 5 miliardi di dollari in 20 anni e che, in cambio, riceva una posizione privilegiata nelle commesse pubbliche (leggi: infrastrutture e petrolio). Poi c'è tutto un aspetto operativo che comporta la creazione di una serie di organismi congiunti per la cooperazione politica ed economica Roma-Tripoli. «Il lavoro comincia da oggi» assicurano i diplomatici, e un'altra tappa «sostanziale» sarà la visita di Mario Monti in Libia prevista fra metà e fine gennaio 2012.

I libici ringraziano l'ENI e promettono quota fondi scongelati a PMI - Oggi l'Italia ha comunque già incassato un risultato importante se è vero quanto riferito da Jalil ai giornalisti, e cioè che l'Eni ha ormai «raggiunto il 70% della propria produzione». Prima della guerra il 'cane a sei zampe' ricavava dalla Libia 280mila barili al giorno di petrolio equivalente (cioè petrolio più metano); all'apice del conflitto si era scesi a 50mila barili. All'origine della rimonta, secondo il presidente del Cnt, c'è un'azienda che ha «accettato di tornare al fianco dei libici malgrado tutti i pericoli e i rischi», mostrando «grande coraggio e dedizione al lavoro».
Un altro aspetto importante per la nostra economia è il destino delle Pmi italiane che nel conflitto hanno perso investimenti o insediamenti realizzati in Libia. La Camera di Commercio Italafrica aveva quantificato a «ben oltre i 100 miliardi di euro» il danno per il sistema-Italia. Da parte di Roma, sono stati scongelati fondi (ricollegabili all'ex regime e congelati con l'avvio del conflitto, ndr) per un importo di 600 milioni e l'Italia - nelle parole di Monti - è «pronta ad assicurare immediata assistenza in settori strategici come l'energia e le infrastrutture per dare rapido e tangibile beneficio alla popolazione libica». Tripoli, dal canto suo, «sicuramente - ha garantito Jalil - girerà parte di questa somma» per ripagare «i crediti dovuti alle aziende italiane che hanno lavorato in Libia».
Di questo il presidente libico ha parlato per un'ora e mezza abbondante col premier Monti, e successivamente con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il capo della diplomazia Giulio Terzi al Quirinale, prima di un altro colloquio alla Camera con il presidente Fini. In tutti questi ambienti si minimizza il peso della Francia sui dossier italo-libici.
«Tutta questa storia della competizione italo-francese è sempre stata ingigantita» hanno suggerito altre fonti diplomatiche, aggiungendo di non aver fatto caso alla sospetta tempistica della missione a Tripoli del ministro degli Esteri francese Alain Juppe' che ha visto Jalil soltanto ieri. L'Italia punta innanzi tutto a «mantenere i suoi spazi», obiettivo che sembra al momento raggiunto. I libici - e il loro presidente l'ha ripetuto in tutti i colloqui politici e in pubblico - attribuiscono questo risultato anche al lavoro del «precedente governo, con il premier Berlusconi e la Farnesina di Frattini».