24 aprile 2024
Aggiornato 07:00
Sisma Abruzzo

Bertolaso scrive agli aquilani a sei mesi tragedia

Il capo dipartimento della Protezione civile: «Non mi sento ma sono aquilano e sono terremotato...»

ROMA - A sei mesi esatti dal terremoto che ha devastato l'Aquila e la provincia, il capo dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso, invia un messaggio a tutti gli aquilani. «Oggi è il sei ottobre 2009. Sei mesi dal sei aprile. Sei mesi, che 'sono un soffio e un`eternità insieme' - afferma Bertolaso - Un soffio, per chi prepara progetti e li mette in atto, scontrandosi con la realtà dei 'tempi tecnici' necessari per fare qualsiasi cosa. (...) Come capita sempre nella vita, a distruggere basta un attimo, per costruire serve tempo».

«(...) Il terremoto, la distruzione: nulla è più come prima, niente lo sarà mai più. Il terremoto - afferma Bertolaso - parte dalla terra e arriva dentro ciascuno, dentro le famiglie, le comunità, le città, si installa come un ospite non voluto che è impossibile allontanare».

«Anche i fatti positivi che pure accadono intorno a noi sono condivisi con riserva, se riguardano altri e non il proprio futuro. Sono centinaia, dopo sei mesi, le famiglie che abitano case nuove e confortevoli. Sono migliaia i ragazzi - continua - che hanno ripreso la scuola spesso in strutture realizzate a tempo di record. Sono sempre meno coloro che ancora non hanno trovato una sistemazione buona almeno per l`inverno».

«In sei mesi l`Italia intera ha partecipato a realizzare, all`Aquila, strutture che in occasione di altri terremoti - ricorda - non si sono mai viste o hanno richiesto anni per essere completate. La Protezione Civile e tutte le sue componenti e strutture operative, decine e decine di imprese al lavoro, hanno trasformato L`Aquila e i Comuni del cratere in un cantiere aperto giorno e notte per dare casa e servizi a un`intera città disastrata».

Poi aggiunge: «I primi risultati si vedono, sono concreti, sono reali, ma la realtà, che pure registra record assoluti di tempestività ed efficienza, sembra sempre in ritardo rispetto al tempo della nostra impazienza, della stanchezza che arriva alle ossa perché abbiamo bisogno di un`aria diversa per respirare, senza misurarci ogni istante col tempo che, a seconda dei casi e dei ruoli, si traveste da soffio o diventa eterno sulla nostra pelle».

«Scrivo queste cose, a sei mesi dalla catastrofe, perché non mi sento ma sono aquilano, non mi sento ma sono terremotato, perché vivo da quel giorno gli stati d`animo, le ansie e anche le speranze di chi vive qui, nelle condizioni che il sisma del 6 aprile ha disegnato. Sono andato via dall`Aquila solo quando la tragedia, il disastro, hanno colpito altre parti d`Italia, a Viareggio, a Messina in queste ultime ore. Viaggi da una catastrofe ad altre, da un dolore che conosco ad altre sofferenze e altre amarezze. Per questo - continua - non ho bisogno di leggere i giornali, di ascoltare dichiarazioni, di scorrere reportage, di prender parte al gioco inutile delle polemiche per sapere che il nostro compito in Abruzzo non è ancora finito, che dobbiamo mettere in conto ancora giorni e giorni passati lavorando senza badare alla fatica, spendendoci per limare un pòdi tempo all`eternità di chi aspetta e far stare più cose nel soffio di ogni giorno a nostra disposizione».

«(...) Abbiamo tutti fame di pace, di cose finite, di impegni assolti. Abbiamo tutti fame di un buon futuro possibile e concreto, da usare con un pò di libertà. Lo so e lo sento, condivido, resto qui a condividere con quanti ancora devono pazientare. Il giorno in cui daremo una casa all`ultima famiglia che l`aspetta, potremo di nuovo imparare a vivere il tempo nella sua semplicità, considerandolo nostro amico. Resto qui con voi, - conclude - perché so che quel giorno è vicino e credo in coscienza di aver conquistato il diritto e l`onore di viverlo insieme a voi».