29 marzo 2024
Aggiornato 15:30
Accordo a Strasburgo

Direttiva Copyright cambierà il «business model» dell'economia digitale

Non si tratterà di una rivoluzione immediata, ma piuttosto di una evoluzione, più o meno rapida, verso un nuovo equilibrio fra gli interessi delle piattaforme, degli autori, degli editori e degli utenti

Direttiva Copyright cambierà business model economia digitale
Direttiva Copyright cambierà business model economia digitale Foto: ANSA

BRUXELLES - L'accordo raggiunto a Strasburgo nel «trilogo» (il negoziato a tre) fra i rappresentanti del Parlamento europeo, la presidenza di turno del Consiglio Ue e la Commissione europea per la tutela del diritto d'autore sulle piattaforme di Internet promette una grande trasformazione nei «business model» della nuova economia digitale, mettendo fine agli abusi dei giganti del web e garantendo una giusta remunerazione dei creatori dei contenuti online.

Non si tratterà di una rivoluzione immediata, ma piuttosto di una evoluzione, più o meno rapida, verso un nuovo equilibrio fra gli interessi delle piattaforme, degli autori, degli editori e degli utenti. L'accordo di ieri innesca un processo e pone degli obiettivi da raggiungere, ma il percorso per arrivarci è ancora indefinito, e potrebbe essere ancora accidentato.

Innanzitutto, l'accordo riguarda una direttiva europea, non un regolamento di armonizzazione. La differenza è semplice: mentre il regolamento viene trasposto tale e quale nelle legislazioni nazionali, la direttiva Ue fissa una serie di parametri, definizioni, campi d'applicazione, scopi e risultati da conseguire che poi ogni Stato membro dovrà recepire nel proprio ordinamento, con leggi o misure amministrative che sono soggette a un certo margine di interpretazione e possono essere anche molto diverse da paese a paese.

In secondo luogo, si tratta di un accordo provvisorio, che deve ora essere confermato dai due co-legislatori, con un voto della plenaria del Parlamento europeo e l'approvazione a maggioranza qualificata del Consiglio Ue. I sostenitori della direttiva temono che tornerà a farsi sentire la grande campagna mediatica ostile alle nuove norme che era stata messa in campo nei mesi scorsi dalle lobby dei giganti del web, e che possa verificarsi una erosione della maggioranza degli eurodeputati favorevoli all'accordo, mentre è certo che diversi Stati membri si opporranno in Consiglio Ue.

L'accordo, tuttavia, non sembra in pericolo: a settembre 2018, l'aula di Strasburgo aveva approvato il mandato per i negoziati con il Consiglio Ue con una confortevole maggioranza (438 voti a favore, 226 contrari e 39 astenuti); e in Consiglio, sebbene ai paesi sicuramente contrari (Polonia, Finlandia e Svezia) si sia aggiunta ora l'Italia del governo giallo verde, la maggioranza qualificata dovrebbe essere garantita dal sostegno dei tre più grandi paesi, Germania, Regno Unito e Francia.

Va sottolineato poi che la direttiva non fa che fissare alcuni principi con valore giuridico, e soprattutto un diritto e un dovere: il diritto dei creatori, o degli editori per i quali lavorano, di ottenere la tutela del Copyright per i contenuti caricati sul web; e il dovere delle grandi piattaforme digitali di rispettare quel diritto e di remunerare gli autori.

Il modo in cui quei principi, diritti e doveri saranno applicati dipenderà dalle legislazioni nazionali e anche dalla giurisprudenza. Perché le piattaforme che violeranno il Copyright saranno passibili di conseguenze legali, e gli autori e gli editori lesi potranno adire i tribunali contro le violazioni.

La direttiva non prescrive come, o usando quali tecnologie, le piattaforme dovranno accordarsi con editori e creatori per remunerarli per i contenuti caricati online, o per accertarsi che non vengano caricati contenuti per i quali non sono stati pagati di diritti d'autore. Stabilisce solo che questo dovrà essere fatto, nelle forme e nei modi che si affermeranno sul mercato e magari con tecnologie innovative che si svilupperanno secondo i bisogni.

C'è il rischio che gli utenti di Internet non trovino più la loro musica su Youtube o le notizie su Google News, perché le piattaforme, piuttosto che assumersi l'onere di remunerare gli autori, potrebbero rinunciare a caricare i contenuti online? A questa domanda ha risposto il vicepresidente della Commissione europea Andrus Ansip, responsabile per il Mercato unico digitale, durante una conferenza stampa oggi a Bruxelles: «Non credo sia così facile - ha detto - che le piattaforme 'spengano' i contenuti online, perché perderebbero i ricavi provenienti dalla pubblicità».

La direttiva, ha affermato Ansip, mira a «tutelare non solo i giornalisti, ma il giornalismo di qualità». Questo perché, visto che per poter caricare dei contenuti online le piattaforme dovranno comunque pagare i loro autori, questo meccanismo funzionerà probabilmente come un incentivo a scegliere i contenuti migliori, che valgano la spesa.

«I ricavi provenienti dalla pubblicità sulle piattaforme online stanno aumentando rapidamente, mentre quelli della pubblicità sui media tradizionali, compresi quelli radiotelevisivi, continua a diminuire»; ma la direttiva sul Copyright, ha sottolineato ancora il vicepresidente della Commissione, «darà alle imprese editoriali una migliore posizione negoziale nelle trattative con le grandi piattaforme digitali. Non credo che questo risolverà i problemi che ha di fronte oggi il giornalismo, ma è un passo nella giusta direzione», ha concluso Ansip.

Una precisazione, infine, sul trattamento riservato dalla direttiva alle piattaforme digitali delle piccole e medie imprese «start up» (definite come quelle in attività da meno di tre anni, con meno di 10 milioni di fatturato annuale e meno di 5 milioni di utenti al mese): non è esatto dire che saranno esentate dagli obblighi di tutela del Copyright. Avranno semplicemente un certo margine di tolleranza per adeguarsi, ma dovranno fare «i loro migliori sforzi» per farlo. In pratica, «la loro responsabilità sarà graduale, applicata proporzionalmente alle dimensioni dell'impresa», ha spiegato oggi una fonte della Commissione europea.