28 marzo 2024
Aggiornato 13:00
food innovation

A Bologna il primo hub che alleva bachi da seta (anche per mangiarli)

Dal punto di vista alimentare, il baco da seta può vantare un contenuto proteico di rilievo (superiore al 50%) con un rilevante apporto di amminoacidi essenziali

BOLOGNA - Siamo in piazza Verdi, nel cuore di Bologna. Nello spazio che prende il nome di «Silk Urban Farm», inaugurato oggi, saranno allevati i bachi da seta. Non solo per produrre tessuti (come siamo solitamente abituati a concepire l’utilizzo di questi insetti, ndr.), ma soprattutto per studiare in che modo gli stessi potranno essere inseriti nell’industria alimentare, in quella biomedicale e nella cosmesi. Mangeremo bachi da seta in futuro? Non è da escludere, dato che lo hanno fatto - prima di noi - già gli antichi Egizi e i guerrieri dell’Impero Romano ( e continuano a farlo oggi circa 2 miliardi di persone al mondo).

Le Nazioni Unite sono state molto chiare in una delle loro ultime analisi: l’approvvigionamento alimentare dovrà aumentare del 50% se si vorrà coprire la crescita demografica prevista nei prossimi decenni. Contemporaneamente all’aumento della popolazione che dovrebbe raggiungere i 9,5 miliardi nel 2050, assisteremo anche una diminuzione consistente della produzione agricola, circa un quarto in meno di quella che abbiamo oggi. L’obiettivo è trovare nuovi cibi, riscoprendo - magari - anche le tradizioni di quelli che sono stati i nostri antenati.

E la sfida è approdata direttamente a Bologna, culla delle innovazioni agroalimentari italiane, grazie a Italbugs (startup del Parco Tecnologico di Lodi) e Future Food Institute, Istituto Italiano che si occupa di ricerca e innovazione in campo alimentare. Il progetto «Silk Urban Farm» vuole recuperare l’antica tradizione della bachicoltura, innovandola secondo il modello di produzione e sviluppo dell’economia circolare. Negli spazi bolognesi verranno allevati i bachi e si studieranno applicazioni innovative della bachicoltura, da quelli alimentari alla cura della persona. Dal punto di vista alimentare, il baco da seta può vantare un contenuto proteico di rilievo (superiore al 50%) con un rilevante apporto di amminoacidi essenziali. La crisalide, da elemento di scarto, che in passato veniva usata come fertilizzante naturale, può quindi diventare una fonte alimentare di farine proteiche. Italbugs ha già realizzato PanSeta, il primo panettone al mondo con farina di baco da seta, in occasione di Expo 2015.

Il cibo del futuro arriva quindi dal passato, così come l’allevamento di bachi da seta: una grande tradizione italiana che risale al X secolo, quando nel nostro Paese nacque l’industria serica grazie alla diffusione della coltivazione del gelso e all’allevamento del baco da seta nelle campagne del Mezzogiorno, dove già alla fine del ‘400 si produceva quasi tutta la seta greggia nazionale. Nel ‘500 l’Italia possedeva oltre il 50% dei telai attivi in Europa per la produzione di filati serici. Dopo il declino del ‘600, dovuto alla concorrenza francese, nel ‘700 l’Italia ritornò al suo ruolo di guida europea grazie alle produzioni di seta di alcune città: Genova per i velluti, Bologna per i veli neri di grande leggerezza e qualità, Milano per le calze, Torino per il pregio di damaschi e broccati.

Oggi, il baco da seta, tuttavia, non è più relegato solo all’industria tessile, ma può aprire nuovi scenari anche all’interno dell’industria alimentare. E la legge, teoricamente, lo consente. Dal 1° gennaio 2018 è entrato in vigore il nuovo regolamento sui Novel Food che ha reso più facile per le aziende richiedere l’autorizzazione per l’allevamento e il commercio di prodotti a base di insetti all’interno dei Paesi membri. Tempi burocratici permettendo, però, bisognerà attendere almeno un anno e mezzo prima di vedere locuste e grilli tra gli scaffali dei nostri supermercati. L’argomento dei «novel food» ha sollevato non poche polemiche negli ultimi mesi, soprattutto in Italia, dove la legislazione non è mai stata così tollerante verso i prodotti a base di insetti. E qui vi abbiamo spiegato perchè.

In ogni caso il baco da seta può avere un ruolo importante anche nei settori della nutraceutica e del biomedicale, grazie ad alcuni componenti derivati dal baco da seta (fibroina, sericina e coloranti naturali come antociani, caroteni e flavoni). Nel settore della nutraceutica, la crisalide è utilizzata da secoli in Cina e Corea per il trattamento del diabete e il controllo dei livelli di glucosio nel sangue. I possibili impieghi in campo biomedicale sono concentrati sullo sviluppo di materiali chirurgici impiantabili come protesi vascolari, by-pass, rigenerazione tessutale, tessuti non tessuti per la cura di piaghe e ustioni, applicazioni dentali e oculistiche. Esiste infine un utilizzo nel settore cosmetico, con prodotti derivati dal baco da seta come la sericina (molecola con elevate proprietà idratanti e dermoprotettive) e l’olio di crisalide ad azione cortisonesimile, utilizzato come lenitivo per lesioni alla cute (ferite, psoriasi e ustioni).

«Silk Urban Farm» non è però un progetto per soli esperti e ricercatori. Tra i primi progetti in cantiere c’è il «kit didattico» per scuole e bambini, con tutto l’occorrente per allevare e conoscere da vicino l’affascinante mondo dei bachi da seta, una «macchina perfetta» con un rapido ciclo di crescita, che in un mese porta le uova a diventare bachi e poi farfalle. Forse l’educazione potrà favorire una nuova cultura e, magari, potrà scoprirci meno dubbiosi verso il mondo degli insetti. E verso il futuro.