19 aprile 2024
Aggiornato 14:00
Politica & Innovazione

Ma che fine ha fatto la legge sull'Home Restaurant?

Il 28 novembre il Parlamento europeo sarà chiamato a pronunciarsi sulla petizione relativa alle incongruenze del ddl sull'Home Restaurant approvato lo scorso gennaio alla Camera

Ma che fine ha fatto la legge sull'Home Restaurant?
Ma che fine ha fatto la legge sull'Home Restaurant? Foto: Shutterstock

BRUXELLES - Finirà per essere discussa al Parlamento europeo, il 28 novembre prossimo, la petizione che riguarda la nostra travagliata e tormentata legge sull’Home Restaurant - più volte messa sotto accusa dagli addetti al settore - e approvata lo scorso gennaio dalla Camera dei Deputati.

Un colpo basso per chi ha fatto dell’home restaurant, in questi anni, una vera e propria fonte di sostentamento economico, per un mercato che coinvolge oggi ben 3,3 milioni di italiani che più o meno assiduamente scelgono la cucina della community ai ristoranti tradizionali. Una normativa dove, a farne le spese, sarebbero anche le nostre massaie, custodi di una tradizione enogastronomica centenaria. A non andare giù alla frotta dei sostenitori dell’Home Restaurant ci sono i limiti dei 5mila euro sui proventi che si potranno ottenere nell’esercizio dell’attività e il divieto di aprire le proprie cucine all’interno di abitazioni destinate anche ad affitti a breve termine. Così chi si trova in una casa affittata tramite AirBnb, ad esempio, dovrà tassativamente esentarsi dal praticare l’Home Restaurant.

Per Giambattista Scivoletto, AD del sito BedAndBreakfast e fondatore di HomeRestaurant, «una legge che fa brindare le lobby dei ristoratori», al punto da mettere in piedi una petizione per invitare il Parlamento europeo a prendere visione del testo normativo parcheggiato alla Camera e che, peraltro, rischia di «calcificare» prima che la legislatura sia terminata, insieme al centinaio di disegni legge che attendono speranzosi il passaggio al Senato. Per l’approvazione definitiva delle leggi «pendenti», però, manca poco, dato che la diciassettesima legislatura è agli sgoccioli. Forse pochi mesi. E sono quasi 6mila i disegni di legge non conclusi che rischiano di mettere la muffa. E passare al dimenticatoio.

Tra questi c’è anche quello sull’Home Restaurant, decisamente fuori dal radar delle priorità politiche, tanto discusso quanto poi abbandonato dopo che i media hanno piano piano spento i riflettori. L’ultima «operazione» del Governo risale allo scorso maggio, quando ha totalmente smontato e respinto tutta l’impalcatura costruita dall’Antitrust, che aveva qualificato il ddl come una legge «discriminatoria» che frena la concorrenza. Dopo aver bocciato i rilievi del Garante per la Concorrenza, da Palazzo Madama non è arrivato più alcun cenno.

Ora che la Commissione per le petizioni ha fissato una data e la petizione di Scivoletto sarà discussa al Parlamento europeo, l’attenzione potrebbe nuovamente catalizzarsi sull’argomento. Un mercato che oggi - secondo le stime più recenti - conta nel Belpaese oltre 7mila cuochi social attivi e oltre 37mila eventi andati a buon fine. Per un fatturato superiore ai 7,2 milioni di euro. L’appuntamento è per il prossimo 28 novembre. Cosa ne penserà Bruxelles della nostra normativa?

Del resto la linea dell’UE è apparsa quanto mai chiara, soprattutto dopo la Risoluzione sulla sharing economy approvata lo scorso giugno. Di fatto il testo approvato dal Parlamento, invita gli Stati membri a considerare l’economia collaborativa come una grande opportunità dal punto di vista occupazionale e ambientale, giacché propone forme economiche anche più sostenibili. E soprattutto li invita a considerare con grande attenzione la normativa già esistente, al fine di evitare la nascita di regolamentazioni nazionali diverse tra di loro e contraddittorie. La parola d’ordine, infatti, è: semplificare. Laddove il Parlamento Europeo individua le linee guida e i principi fondamentali dell’economia collaborativa, dall’altra gli Stati membri avranno il compito di individuare le normative di attuazione. L’obiettivo è creare un mercato europeo unico, dove tutti gli attori della sharing economy possano avere gli stessi diritti e gli stessi doveri.