19 marzo 2024
Aggiornato 07:00
10mila quelle registrate, ma c'è molto di più

L'Ue, il paradiso delle lobby e della scarsa trasparenza

Quanto si sa delle organizzazioni che fanno lobbying a Bruxelles e Strasburgo? Molto meno di quanto si dovrebbe. E la volontà di imprimere un cambio di rotta, nonostante i proclami, continua a mancare

Bandiera dell'Unione europea.
Bandiera dell'Unione europea. Foto: Shutterstock

BRUXELLES - Ue e trasparenza, questione tanto annosa quanto delicata. Non c'è dubbio che l'Europa stia affrontando un momento storico complesso, dove in discussione è la sua stessa identità ed esistenza, ma non si può dire che il «nodo trasparenza» sia secondario. Tutt'altro. Del resto, buona parte della disaffezione che oggi i cittadini europei provano per le istituzioni comunitarie deriva anche da quella sensazione - non certo peregrina - che, in cima alla lista delle priorità dell'Ue, figurino gli interessi di pochi piuttosto che quelli dei più. Una sensazione rafforzatasi a settembre, quando a finire nella bufera è stato l'ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, per la sua nomina come Presidente non esecutivo in Goldman Sachs.

Barroso tra l'Ue e Goldman Sachs
Un comitato etico della Commissione Ue accerterà che, in merito alla vicenda, non si profili un conflitto d'interessi. Perché l'articolo 245 del Trattato di Lisbona recita: «Mi impegno solennemente ad esercitare le mie funzioni in piena indipendenza, nell’interesse generale dell’Unione; a non sollecitare né accettare, nell’adempimento dei miei doveri, istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo; ad astenermi da ogni atto incompatibile con il carattere delle mie funzioni o l’esecuzione dei miei compiti». Una formula che l'approdo in Goldman Sachs di Barroso potrebbe mettere in dubbio, soprattutto visto che la banca d'affari è stata notoriamente riconosciuta colpevole, nel 2008,  per la vendita allo scoperto di derivati durante la crisi dei sub-prime. E' dunque perlomeno opinabile che gli interessi della Goldman possano conciliarsi con quelli della Ue.

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Non un caso isolato
In realtà, quello di Barroso non è un caso isolato. Vicende di questo tipo sono ben più frequenti di quanto si potrebbe pensare: si pensi solo alla comparsa dell’ex commissario all’Antitrust Neelie Kroes nei Bahamas Leaks e la sua consulenza per Uber, o al commissario Günther Oettinger, protagonista di un controverso viaggio a Budapest a bordo di un jet di un potente lobbista russo. O ancora, si ricordi il caso dell’ex commissario maltese alla Salute John Dally, che, secondo un rapporto dell’Olaf (l’ufficio europeo per la lotta contro frodi e corruzione), avrebbe taciuto sulla sua partecipazione a riunioni non ufficiali con i rappresentanti dell’industria del tabacco, nello stesso periodo in cui si lavorava a una direttiva sull’argomento. Nel 2015, le indagini legate alla trasparenza in seno all'Ue, del resto, sono state ai primi posti tra le 278 avviate. Ecco perché Bruxelles è attualmente impegnata in una serie di iniziative volte, perlomeno ufficialmente, a rendere più «trasparente» il suo stretto rapporto con le lobby e a scongiurare il rischio di conflitti di interessi.

Dici «lobby», pensi a interessi loschi
Del resto, se nell'immaginario comune europeo il concetto di «lobbismo» sa di losco e di ambiguo un motivo c'è. Perché la normativa comunitaria su questo tema – tanto evidentemente delicato – è ancora lacunosa. A differenza che negli Usa, in Europa le attività di lobbismo sono considerate ancora un tabù e per questo preferibilmente «insabbiate». Non a caso, l'iscrizione al Registro di trasparenza, dove vengono indicati budget e finanziamenti ricevuti, clienti, dossier su cui si svolge attività di pressione e nomi dei consulenti accreditati per l’ingresso in Parlamento, è ancora volontario. E solo la Commissione e i funzionari di più alto grado hanno, da poco, il vincolo di incontrare lobbisti solo se registrati.

La proposta di legge è ancora piena di criticità
Ne consegue una evidente mancanza di trasparenza, che non fa che alimentare, comprensibilmente, sospetti e malizie. Ecco perché il 28 settembre scorso è stata avanzata una proposta di riforma che estenderebbe l'obbligatorietà del Registro anche al Parlamento e al Consiglio europeo. Le lacune, però, rimarrebbero: perché nei fatti alcuni funzionari sarebbero comunque esenti dalla regola di iscrizione. Oltretutto, c'è chi, come il Corporate Europe Observatory, ritiene che nel testo si faccia un passo indietro nella definizione di «attività di lobbying», molto meno ampia della precedente. In pratica, rimarrebbero escluse tutte le attività di lobbying «indiretta», come la compilazione di report e le campagne di comunicazione, le consulenze legali e così via. E alcuni soggetti verrebbero ancora incautamente (o astutamente?) esclusi dalla definizione di lobbismo, come le autorità pubbliche di Paesi terzi, che invece in alcuni casi possono svolgere attività di pressione. Una delle tante opacità della proposta di legge, inoltre, risiederebbe nel fatto che le rappresentanze permanenti del Consiglio non avrebbero l'obbligo di incontrare lobbisti solo se questi ultimi si sono registrati. 

10mila organizzazioni registrate, record per il Belgio
Come si vede, insomma, la questione delle «porte girevoli» in Europa è tutt'altro che risolta, nonostante, secondo Openpolis, il numero di organizzazioni iscritte sul Registro europeo adottato nel 2008 sia in aumento negli ultimi tre anni (periodo a cui risale quasi il 60% delle iscrizioni). Il numero complessivo delle lobby registrate è a circa 10mila. Lobby che, per lo più, si trovano in Belgio (20,10%), seguito da Germania (12,64%), Francia (10,05%) e Italia (7,29%). L'8,5% delle organizzazioni portatrici di interesse in Ue sono invece extraeuropee: gli Usa ne vantano 335 registrate, la Svizzera 195.

Informazioni del Registro poco attendibili e non verificate
Il problema, dunque, rimane tutto quel mondo sommerso, non iscritto nel registro, sul quale non si ha alcun controllo. Ma questa non è l'«unica» questione aperta: come riporta Openpolis, è opinabile anche l'attendibilità delle informazioni volontarie, sulle quali mancano verifiche. Soprattutto, ad esempio, sulla somma di denaro che le lobby spendono ogni anno per svolgere le loro attività, rispetto alla quale il database ha scarsa attendibilità. La cifra annuale dichiarata va dai 10mila euro (della stragrande maggioranza) ai 10 milioni. Eppure, su queste informazioni non viene svolta alcuna vigilanza accurata. Spesso, infatti, chi si accredita al registro «interpreta a modo suo ciò che viene richiesto, generando una base dati non uniforme e poco utilizzabile», scrive Openpolis. Proprio a tal proposito, lo scorso settembre la ong Transparency international ha presentato oltre 4.200 reclami per errori fattuali o numeri inverosimili nelle schede delle organizzazioni: ad esempio, stando al registro oltre 3.800 iscritti pagherebbero i propri lobbisti meno del minimo sindacale. Inoltre, 114 organizzazioni affermano di avere almeno 100 lobbisti, un numero già molto elevato, mentre l’Università di Pavia ne dichiara addirittura 1.904.

Buona volontà? Ancora poca
Volontarietà delle registrazioni, scarsi controlli, molto sommerso. E' questo il mondo delle lobby nell'Unione europea, un mondo di «vedo non vedo» e di porte girevoli che non fanno che rafforzare l'impressione secondo cui Bruxelles sia una fabbrica di privilegi per pochi. E per ora, di buona volontà per sistemare la questione se ne vede ben poca.

La proposta di Corbett: ancora un regalo alle lobby
Perché lo scorso dicembre il Parlamento Ue ha approvato a maggioranza una proposta presentata dall’eurodeputato Richard Corbett, in base alla quale, nella revisione dei regolamenti dell'Europarlamento, contrariamente agli annunci ufficiali sulla trasparenza si fa ben poco. Come riporta Francesco Borgonovo, più di 170 eurodeputati mantengono un secondo lavoro (side job), e, oltre a sedere in aula, praticano attività di lobbying: con la proposta di Corbett, potranno continuare a farlo senza, ovviamente, l'obbligo di dichiararsi. Qualche piccolo passo avanti è stato fatto: anche gli europarlamentari potranno incontrare i lobbisti solo se registrati, e non potranno ricevere regali. Ma, rispetto alle criticità, le migliorie appaiono meramente cosmetiche.

Il regalo di addio di Martin Schulz
Infatti, poco prima di lasciare il suo seggio, Martin Schulz ha bloccato l'emendamento che avrebbe fissato un periodo di interruzione dalle attività di lobbismo alla fine del mandato, cosa che avrebbe limitato i casi di «porte girevoli» tra Parlamento Ue e lobby. Oltretutto, in teoria per «velocizzare» la produzione di normative, sono state introdotte regole che impongono un limite agli emendamenti e ai voti da parte dei vari gruppi del Parlamento: le proposte della Commissione Ue, cioè, non potranno più in gran parte essere vagliate da Strasburgo in tre tornate di dibattito, ma saranno discusse (per eventuali emendamenti) soltanto in una. Sarebbe anche prevista una lunga serie di limitazioni alla presentazioni degli emendamenti e delle interrogazioni scritte. Il processo decisionale, in pratica, viene progressivamente e sempre più massicciamente trasferito nelle segrete stanze. Alla faccia della trasparenza.