Perché la riconquista di Aleppo è un punto di svolta per la Siria (e un enorme successo per Mosca)
Dopo 5 anni di sanguinosa guerra, il conflitto siriano è a un punto di svolta, grazie all'ormai vicina riconquista di Aleppo da parte delle forze governative. Supportate dalla Russia.

ALEPPO - La guerra in Siria è a un punto di svolta. Dopo 5 anni di combattimenti e più di 400.000 vittime, sembra che lo sventurato Paese mediorientale si avvicini faticosamente, se non alla fine della guerra, certamente a una nuova fase del conflitto, con i jihadisti e i ribelli che perdono terreno e le due principali forze straniere in campo – Usa e Russia – apparentemente disposte a collaborare.
L'Aleppo delle opposizioni è caduta
In effetti, le ultime notizie che arrivano dalla Siria ci consegnano l'immagine di uno Stato islamico sempre più in difficoltà. Da un lato, la coalizione guidata da Washington ha preso controllo del 70% del distretto di Manjib, città-chiave a ridosso del confine turco, costringendo Daesh ad arretrare. Dall'altro lato, le forze governative, sostenute dalla Russia, sono ormai vicine alla riconquista di Aleppo. Proprio nelle ultime ore, jihadisti e ribelli siriani hanno lanciato un'offensiva per aprire un nuovo corridoio di approvvigionamento a sud della città. Le truppe governative, infatti, occupano la principale arteria di collegamento a nord; i combattimenti sono particolarmente violenti nel sobborgo di Rashidin, dove le truppe siriane possono contare con l'appoggio delle milizie sciite libanesi di Hezbollah. L’Aleppo delle opposizioni ad Assad, insomma, è di fatto caduta.
La centralità geostrategica di Aleppo
Quella di Aleppo è forse la battaglia più significativa dell'intero conflitto siriano, e per diverse ragioni. In primis, la città costituisce il principale centro economico e commerciale del Paese, e sorge in una posizione geostrategica molto rilevante. Controllare Aleppo significa, di fatto, controllare anche la parte settentrionale del Paese lungo il confine con la Turchia, la regione abitata dai curdi, e la parte nord-occidentale dell'Iraq. Un'area fondamentale tanto per i curdi siriani, quanto per le forze governative e per le loro avversarie: in primis Arabia Saudita e Turchia. In pratica, la riconquista di Aleppo da parte delle forze lealiste potrebbe costituire il preludio della riconquista dell'intero territorio siriano.
Un successo per la Russia, un colpo per l'immagine di Washington
Le sorti di Aleppo, però, potrebbero di fatto condizionare il precario equilibrio tra le due maggiori potenze internazionali impegnate in Siria, rivali ma (a quanto pare) non troppo: Usa e Russia. Perché la definitiva riconquista della città da parte delle forze lealiste sarebbe un’enorme successo per Vladimir Putin, e un grosso colpo per l’immagine di Obama e per il bilancio della sua balbuziente campagna siriana. La quale, per lungo tempo (almeno fino all'intervento di Mosca), è stata più finalizzata al sostegno dei gruppi anti-Assad piuttosto che alla sconfitta di Daesh. E la perdita della parte orientale di Aleppo già rischia di mettere un punto alla politica Usa nella regione, a una strategia perseguita sei lunghi anni da parte dell’amministrazione Obama e – secondo qualche analista – potrebbe anche ripercuotersi negativamente sulla campagna elettorale di Hillary Clinton. Non a caso, nel corso dei colloqui di Ginevra gli Stati Uniti non hanno potuto far altro che formalizzare, de facto, l’influenza russa su Aleppo, per poi concentrarsi – come affermato dal segretario alla Difesa Ashton Carter – sul nord-est e sul sud della Siria.
La prossima tregua e il 'tradimento' di al-Nusra
Il prossimo passo sarà l'annuncio di una tregua su scala nazionale concertata da Russia e Usa, da cui saranno esclusi soltanto i «terroristi», cioè i qaidisti e lo Stato islamico. E proprio alla luce di ciò deve essere interpretata la decisione del fronte al-Nusra di distaccarsi da al-Qaeda, peraltro con il beneplacito di quest’ultima. Una mossa che le consentirebbe di non essere catalogata tra i terroristi, e dunque di poter giovare della tregua in modo da non perdere terreno, né il consenso delle comunità controllate.
Se la guerra si avvicina alla fine (forse), la pace è ancora lontana
Tuttavia, sono ancora tante, troppe le incognite sul futuro del Paese. Una di queste l’ha espressa nientemeno che il capo della Cia John Brennan, il quale si è dimostrato decisamente perplesso sulla possibilità di preservare l'unità della Siria dopo la guerra. Una posizione, del resto, sostanzialmente condivisa dal segretario di Stato Usa John Kerry, che lo scorso febbraio ventilò un possibile piano B che contemplasse la spartizione della Siria, in mancanza di un cessate il fuoco efficace e duraturo. A suo avviso, per il ripristino dell’unità del Paese – ha dichiarato davanti al Senato – potrebbe essere troppo tardi. Sulla stessa linea anche l’inviato Onu in Siria Staffan De Mistura, che ha sottolineato come l’ipotesi di una suddivisione federale non debba essere affatto scartata. Insomma, se anche anche la guerra fosse davvero prossima a finire, la pace appare ancora lontana. E soprattutto, è altamente probabile che, al termine di questo calvario, la Siria come la conoscevamo cinque anni fa non esisterà più.
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