28 agosto 2025
Aggiornato 05:30
Si rovesciano 4 barconi nel Mediterraneo

Migranti, a un anno dalla strage del Canale di Sicilia: nuovi morti, nessuna soluzione

Quattro barconi partiti dalle coste egiziane sovraccarichi di migranti si sarebbero rovesciati nelle acque del Mediterraneo, a un anno esatto dal naufragio avvenuto al largo del Canale di Sicilia, che ha mietuto quasi un migliaio di vittime

Peschereccio alla deriva.
Peschereccio alla deriva. Foto: Shutterstock

ROMA - Quattro barconi partiti dalle coste egiziane sovraccarichi di migranti si sarebbero rovesciati nelle acque del Mediterraneo. A bordo vi erano circa 400 migranti provenienti per lo più da Somalia, Etiopia ed Eritrea e diretti in Italia. Secondo i media somali citati dalla Bbc in lingua araba i soccorsi sono riusciti a trarre in salvo solo 29 persone. L'ambasciatore somalo in Egitto, citato dalla stessa emittente, ha detto che oltre 400 persone sono morte. Alcune fotografie di una lista scritta a mano di vittime sta circolando sui social network. 

Il commento di Mattarella
Del probabile naufragio e dei dispersi ha parlato, poche ore fa, anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che nel corso della cerimonia di presentazione dei candidati ai Premi «David di Donatello» per l'anno 2016 ha sottolineato come «le tragedie del mare in cui perdono la vita centinaia di migranti come quella accaduta oggi, proprio nel giorno in cui ricorre l'anniversario di quella in cui morirono 800 persone, ci debbono far pensare».

La strage del Canale di Sicilia, un anno dopo
A un anno esatto dalla terribile strage di migranti in cui persero la vita 800 persone a largo di Lampedusa, e mentre altre 400 persone risultano disperse nel Mediterraneo a seguito del naufragio di quattro barconi, l'Europa non è ancora riuscita a trovare una soluzione alla crisi migratoria. Le persone, anche quelle più vulnerabili, sono costrette a rischiare la vita e a esporsi a torture e violenze per cercare salvezza e dignità al di là del Mediterraneo e, una volta raggiunte le coste europee, rischiano di non vedere riconosciuto il loro diritto a chiedere protezione internazionale: lo denuncia Oxfam nel report «Hotspot: fabbriche di incertezza e paura» pubblicato oggi.

Una rotta pericolosa
Il canale di Sicilia è la rotta marittima in cui si registra il più alto numero di morti al mondo: dall'inizio dell'anno già 219 persone vi hanno perso la vita. Ciononostante, nel solo mese di marzo circa 10mila persone hanno deciso di attraversarlo per raggiungere l'Europa. Nei primi tre mesi del 2016 i migranti sbarcati in Italia sono stati quasi il doppio di quelli che sono arrivati il nostro paese nello stesso periodo del 2015. Solo la settimana scorsa, nel giro di pochi giorni, sono sbarcate più di 6.000 persone. Molti di loro hanno già subito abusi prima ancora di salpare per il Mediterraneo, da parte dei trafficanti nei paesi attraversati durante il viaggio. Secondo le Nazioni Unite, i migranti in Libia sono spesso vittime di abusi, percosse e lavori forzati. Recentemente quattro migranti sono stati uccisi con un colpo di arma da fuoco mentre cercavano di fuggire da un centro di detenzione e altre 20 persone sono rimaste ferite.

La risposta Ue
La risposta dell'Unione Europea alla strage di Lampedusa, e più in generale alla crisi del Mediterraneo, è stata quella di rafforzare il controllo delle frontiere anche attraverso il cosiddetto «approccio hotspots», che prevede, poco dopo lo sbarco, una intervista sommaria mirata a distinguere - in maniera piuttosto arbitraria - tra richiedenti asilo e migranti irregolari. sebbene non sia stato ancora stabilito un quadro giuridico che regoli il loro funzionamento Tre hotspots sono ufficialmente attivi in Sicilia da settembre 2015, e da poco è attivo anche quello di Taranto in Puglia,. Le persone respinte sono state lasciate fuori dalla rete dell'accoglienza, abbandonate e rese ancora più vulnerabili.

La risposta insufficiente Ue
«Ci sono persone disperate in condizioni disperate e l'unica risposta dell'Unione Europea è stata mettere l'interesse politico davanti alla sicurezza e alla dignità degli esseri umani - afferma Elisa Bacciotti, direttrice Campagne di Oxfam Italia - ma le tragedie in mare, come vediamo tristemente anche oggi, non si fermano e i respingimenti mettono in crisi il concetto stesso di protezione internazionale: l'Europa deve fare di più». Abbandonate, le persone rischiano di finire nella rete della tratta e dello sfruttamento: la paura di essere espulse spesso impedisce loro di chiedere aiuto. Secondo l'Agenzia Europea per i Diritti Fondamentali, alla base di questa paura c'è la convinzione che i responsabili di queste violenze possano agire nell'impunità: le donne abbandonate sono particolarmente vulnerabili. Inoltre, chi cerca di aiutare gli immigrati irregolari rischia di affrontare cause penali. «I migranti respinti sono abbandonati in un limbo, senza nessun posto dove andare e costantemente a rischio di finire nella rete della criminalità - sottolinea Giulia Capitani, policy advisor di Oxfam Italia - E' un colpo mortale al diritto d'asilo, che si consuma in silenzio nel nostro paese e che riguarda persone spesso traumatizzate e bisognose di tutto». Persone che, per ironia della sorte, sono da considerarsi fortunate per essere sopravvissute al viaggio nel Mediterraneo, a differenza delle 800 che sono annegate a largo di Lampedusa lo scorso anno e di quelle che, oggi, risultano ancora disperse in mare.

Le richieste di Oxfam
Oxfam chiede dunque all'Unione Europea e al governo italiano di:
· Chiarire immediatamente se e in che modo le procedure utilizzate nell'approccio hotspots garantiscono il rispetto della legge a livello europeo e nazionale e come viene assicurata una supervisione imparziale di quanto avviene, incluso il ricorso agli appelli;
· Assicurare che, nel rispetto della legge, ogni persona sia pienamente informata dei suoi diritti, incluso il diritto di richiedere protezione internazionale, in forma e lingua a lei effettivamente comprensibile.
· Allineare le procedure di identificazione e registrazione al pieno rispetto dei diritti umani. L'utilizzo della forza per finalizzare le procedure di identificazione o per prendere le impronte non deve essere in alcun modo permesso.
· Garantire che nessuno sia respinto o rimpatriato senza un approfondito esame della sua situazione individuale da parte dell'autorità competente, che non può essere un ufficiale di pubblica sicurezza nei luoghi di frontiera.
· Mettere fine alle detenzioni arbitrarie. Nessuno può essere detenuto nei centri per il solo scopo di essere identificato.
· Garantire l'accesso ad organizzazioni indipendenti che possono offrire supporto, incluso sostegno psicosociale, e monitorare il rispetto dei diritti umani, sulle navi usate per le operazioni di ricerca e salvataggio, ai punti di sbarco e nei centri dove si procede all'identificazione delle persone.
· Creare specifiche procedure di protezione per le persone più vulnerabili, inclusi i minori non accompagnati, donne che viaggiano sole, donne in stato di gravidanza, persone vittime di traumi o malate, e persone con disabilità.

(Con fonte Askanews)